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Le forze fedeli a Khalifa Haftar il signore della guerra dell’Est libico che sta provando a mettere a ferro e fuoco Tripoli (sede del governo promosso dall’Onu) da più di due settimane, hanno annunciato che oggi intensificheranno la loro offensiva. Nei giorni scorsi, davanti al lento arretramento subito, il portavoce militare della principale milizia haftariana, nota come Lna, ha detto che non era in corso una ritirata, ma che la campagna procedeva con lentezza per non colpire civili in quelle aree densamente popolate.

Però ha ammesso che stavano richiamando riservisti come rinforzi, perché lo scacco a Tripoli non è andato come previsto. Non è stata una passeggiata trionfale sulla capitale, ha trovato l’opposizione di milizie locali coadiuvata dall’intervento da Misurata.

La situazione sul campo resta di stallo. Il bilancio della vittime fatto dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) parla di 264 morti (di cui 80 minorenni) e 1266 feriti prodotti fino a oggi dall’inizio degli scontri armati a Tripoli e dintorni. Mentre Haftar sembra tutt’altro che sfondare.

Ieri il ministero dell’Interno del governo onusiano, Fathi Bashagha, ha fatto sapere che le milizie tripoline hanno respinto le forze del Feldmaresciallo anche a Wadi Rabea dove l’area è ormai sotto il controllo delle forze pro-Serraj. Mentre negli ultimi due giorni è stato segnalato che i bombardamenti sono stati meglio centrati, forse frutto di un ingresso in campo di armi più sofisticate (droni) usate anche per il targeting. Elemento tuttavia che viene indicato dalle organizzazioni che monitorano il conflitto come negativo, verso escalation incontrollabili.

C’è un elemento che sta diventando via via più centrale nel quadro della crisi libica, e che il governo onusiano sta usando per sollecitare un intervento europeo e soprattutto italiano: l’immigrazione. Serraj, intervistato dal CorSera una settimana fa, esagerò nel numero: disse che c’erano 800 mila migranti pronti a risalire il Mediterraneo per sfuggire dall’aggressione.

Il numero è ingigantito per ragioni di retorica e propaganda, ma esiste un’analisi per ora discreta con cui l’intelligence italiana ha stimato che ci siano realmente più o meno centomila persone potenzialmente pronte a partire se la situazione si deteriorerà ancora.

E qui il punto lo centra Paolo Mastrolilli sulla Stampa: se l’offensiva di Haftar andrà avanti – con logico e conseguente aggravamento delle condizioni – allora l’Onu potrebbe riconoscere ufficialmente la situazione come “guerra civile”.

E questo trasformerebbe automaticamente in rifugiati di guerra i migranti, che sono attualmente detenuti in Libia – anche in condizioni disumane – come conseguenza degli accordi Tripoli-Roma decisi già nel 2015. In questi giorni si leggono reportage su come in alcuni centri non ci siano quasi più guardie di sicurezza, probabilmente corse a rinfoltire le linee delle milizie. Alcuni centri, vicini alle zone in cui esplodono i combattimenti, sono stati evacuati dalle Nazioni Unite già la scorsa settimana.

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