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A proposito di giganti e nani: con la Cina, ci parla l’Ue. Sempre Golia e Davide siamo: il doppio dell’estensione geografica e tre volte la popolazione, ma almeno un Pil complessivo confrontabile (e un Pil pro capite tre volte tanto). Ma vuoi mettere se fosse, metti caso, la Cina e l’Italia: 30 volte la superficie e 23 volte la popolazione, un Pil sette volte e mezzo maggiore (ma noi sempre tre volte meglio pro capite). Dunque, con la Cina, come con gli Usa e magari pure con la Russia, è bene che ci parli l’Ue.

Il vertice Ue-Cina svoltosi ieri a Bruxelles ne è stato una riprova: il premier cinese Li Keqiang è stato ricevuto dai presidenti del Consiglio europeo, Donald Tusk e della Commissione europea, Jean-Claude Juncker. Al termine, Juncker ha parlato “di un grande passo nella giusta direzione”; e Tusk di “negoziati difficili, ma fruttuosi”, che hanno portato “a una svolta con l’intesa su sussidi all’industria”. Li ha assicurato che la Cina “continuerà ad aprirsi alle imprese straniere” e promesso che “tradurrà gli impegni presi in azioni concrete”; ma ha chiesto in cambio che le aziende cinesi siano trattate “in modo equo”  ed ha ottenuto l’assicurazione che l’Ue, contrariamente agli Usa, non metterà nel mirino in modo specifico Huawei o Zte. Sulla Nuova Via della Seta, c’è l’accordo per collegarla alle reti europee di infrastrutture fisiche e informatiche.

Lorenzo Mariani, analista dell’Istituto Affari Internazionali, spiega che la Nuova Via della Seta è ormai evoluta in un vastissimo progetto, “cui si lega a doppio nodo l’intera politica estera cinese”. “In principio erano la ‘Economic Belt along the Road’ e la ‘21st century maritime silk road’; poi fu la ‘One Belt One Road’ (Obor) e la ‘New Silk Road’; infine, venne la ‘Belt and Road Initiative’ (Bri). Da quando, sul finire del 2013, il presidente Xi scelse questa via per il rilancio internazionale della Cina, la Bri è stata al contempo tantissime cose ed una sola: un topos narrativo sotto cui fare rientrare qualsiasi proiezione cinese al di fuori dei confini nazionali.

Tutto bene, allora, a Bruxelles. O, almeno, meglio di come vanno le cose tra Pechino e Washington, che negoziano da mesi sotto la ferula d’una guerra di dazi che il magnate presidente Donald Trump minaccia di scatenare. Eppure, se confrontiamo l’attenzione, modesta, prestata dai media italiani all’evento di ieri a Bruxelles con quella, generosa, offerta alla visita in Italia del presidente cinese Xi Jinping, dal 21 al 24 marzo, potremmo avere un’impressione diversa: che le relazioni bilaterali contano più di quelle europee.

Xi aveva firmato il Protocollo d’Intesa sul coinvolgimento dell’Italia nella Nuova Via della Seta. E subito dopo era andato in Francia, dove non aveva firmato nessun Protocollo d’Intesa – tanta fuffa, qualche arancia e poco arrosto -, ma dei contratti fra cui uno da 30 miliardi di euro per acquistare 300 Airbus; e aveva incontrato all’Eliseo il presidente francese Emmanuel Macron, che aveva pure invitato la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente Juncker, apparecchiandogli un vero e proprio tavolo europeo.

Di fatto, la successione di eventi euro-cinesi in meno di tre settimane testimonia l’importanza, oltre che l’intensità, dei rapporti tra l’Europa e la Cina; e l’attenzione di Macron a fare affari con Xi, ma a dargli poi la dimensione d’un approccio europeo e non nazionale, conferma la consapevolezza che il rapporto tra singoli Paesi è squilibrato e che la dimensione giusta, per negoziare con Pechino, è quella continentale. Il voler fare da mosca cocchiera, senza rendersene conto, è controproducente: quel che ci guadagni è meno di quel che ci perdi in efficacia negoziale e credibilità politica. Una consapevolezza che l’Italia, a marzo, non è parsa avere, guardandosi, come spesso capita, più l’ombelico delle beghe interne – Xi sta con Di Maio contro Salvini? – che la sostanza economica e geo-politica – e trasformando in un delitto di lesa maestà sia le critiche di Bruxelles, che includono l’ovvia constatazione che le trattative commerciali sono competenza dell’Ue e non dei singoli Paesi, sia gli strali in parte gratuiti degli Stati Uniti.

Nei progetti di Trump, ci può essere il disegno di spartirsi il mondo con la Cina, senza che quei fastidiosi europei si mettano in mezzo. Ma non è affatto detto che il disegno cinese sia coincidente: Xi non ha motivo di fidarsi dell’imprevedibilità di Trump, lui presidente a vita e l’altro, per ora, sicuro di essere presidente per altri 21 mesi e basta. E, inoltre, la Cina mostra verso la Russia e l’Unione europea un’attenzione meno conflittuale e meno ringhiosa di quella dell’amministrazione degli Stati Uniti. Infine, vi sono terreni globali in cui Ue e Cina viaggiano d’intesa, senza e talora contro gli Stati Uniti: l’impegno verde contro il riscaldamento globale, ad esempio; o, su un piano di sicurezza più immediato, il rispetto dell’accordo sul nucleare con l’Iran, denunciato dagli Usa.

Il che non significa che tra Ue e Cina non vi siano elementi di contrasto e di competizione; e che l’Ue non debba guardare con preoccupazione alle iniziative cinesi e ai rischi che esse comportano per la sua sovranità, concetto che va ormai declinato a livello europeo più che a livello nazionale. Come osserva su AffariInternazionali.it il professor Michele Nones, vice-presidente dell’Istituto Affari Internazionali, l’Unione deve, in particolare, preoccuparsi, nel confronto con Cina e Usa, della sua sovranità tecnologica, specie nei campi della difesa e della sicurezza. La minaccia può venire da Huawei e da Zte, ma può anche venire da monopoli americani nella geo-localizzazione o nelle comunicazioni strategiche. Per evitarne il rischio, l’Ue s’è dotata di propri strumenti.

“La sovranità tecnologica”, osserva Nones, “non implica un generico controllo delle tecnologie, ma la capacità d’esercitarlo nelle Key Strategic Activities, attività strategiche chiave con cui un Paese o, nel caso europeo, un’Unione di Paesi garantiscono la propria collocazione internazionale e, insieme, la propria difesa e sicurezza”. Nones conclude che “la risposta, quindi, non può che essere a livello europeo, sia per evitare di rafforzare con relazioni bilaterali il potere contrattuale cinese (nani di fronte al gigante), sia perché gli interessi nazionali nel campo della sovranità tecnologica non sono separabili da quelli europei”. Davide contro Golia è bello e, quando Davide vince, diventa mito. Ma di solito vince Golia.

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