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Inizia oggi l’esame parlamentare della Legge di bilancio per il 2019. Basta passeggiare a Montecitorio e a Palazzo Madama per percepire che, a differenza degli anni passati, non si avverte l’aria di assalto alla diligenza: ossia di deputati e senatori che discutono, o meglio contrattano, emendamenti particolaristici per favorire i loro collegi o gruppi di pressione a essi vicini, e che hanno contribuito alla loro elezione in Parlamento.

Si tenga presente che è prassi diffusa in tutto il mondo – soprattutto al Congresso di Washington e nelle Assemblee legislative dei 50 Stati dell’Unione. Può non piacere agli ortodossi e ai puritani, ma è un po’ il sale della democrazia rappresentativa. L’assalto, più o meno violento, fa sì che istanze locali o di interessi legittimi vengano portate ai piani alti della politica perché se ne faccia una sintesi. A volte si esagera e si compilano e approvano leggi di bilancio di circa mille commi che sovente rimandano ad altra legislazione. Con il risultato che si predispone un bilancio incomprensibile (l’opposto di quanto richiede una sana democrazia). Ci sono però antibiotici normativi per impedire queste disfunzioni.

Ma torniamo al punto di partenza: perché il profumo del Parlamento non olezza d’assalto alla diligenza? Le ragioni sono due: una strettamente politica e una tecnica. Quella politica consiste nel fatto che questo governo non è né una coalizione né un’alleanza, ma un consorzio tra due partiti o movimenti sino a poche settimane prima della formazione dell’esecutivo l’un contro l’altro armato e legati tra loro da un contratto. All’interno dei due partiti o movimenti vige una severa disciplina, comunque necessaria per attuare il contratto. Inoltre, i due partiti o movimenti sono in campagna elettorale in vista delle elezioni europee di maggio 2019; a tale chiamata alle urne non si sa ancora se si presenteranno alleati, contrapposti o in competizione tra loro.

La terza ipotesi è la più probabile, come si è visto nella predisposizione della nota d’aggiornamento al Documento di economia e finanza dove ciascuno dei due ha tirato la coperta dalla sua parte cercando di ottenere risorse per le istanze del proprio elettorato. Quindi, gran parte delle trattative è stata fatta e sarà difficile inserire emendamenti particolaristici in eventuali negoziati su singoli punti della Legge di bilancio. C’è un aspetto più tecnico: una parte abbondante degli stanziamenti della manovra non verrà spesa.

Prendiamo le modifiche della legge Fornero; si stima una spesa aggiuntiva di 7 miliardi sull’assunto che tutti coloro che raggiungeranno quota cento (38 anni di contributi e 62 anni di età) correranno all’Inps per chiedere la liquidazione della pensione. È un’ipotesi stravagante in quanto molti dipendenti – forse la metà – vorranno restare in impiego per non avere una decurtazione di reddito, poter fruire di aumenti di salario/stipendio negli ultimi anni di carriera o semplicemente perché interessati al loro lavoro e spaventati dalla prospettiva di passare le loro giornate sulle panchine dei giardinetti.

Ancora meno verrà erogato per le pensioni e il reddito di cittadinanza: è semplice aumentare il minimo previdenziale e utilizzare un miliardo per aumentare le risorse umane e strumentali dei centri per l’impiego, ma molto complesso far giungere le risorse nelle tasche di coloro in stato di bisogno. Occorre definire regole e procedure tramite decreti attuativi, circolari, corsi di formazione per gli addetti alla bisogna (con il consueto corredo di ricorsi al Tar e al Consiglio di Stato) . Se tutto va bene, i primi soldi arriveranno per il Natale 2019.

Quindi, se si spende meno, diminuirà il rapporto debito-Pil e saremo tutti contenti? Non credo proprio, perché le stime di crescita del Pil tra il doppio e il 50% di più di quelle di tutti gli altri maggiori istituti ricordano Alice nel paese delle meraviglie.

Legge di bilancio sotto la lente. Meno spese, ma più debito

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