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Il popolo renziano ha celebrato la sua Leopolda di resurrezione, uscendo dalla stazione a pochi passi dall’Arno rinfrancato ma incerto sul da farsi.

Rinfrancato perché ottomila iscritti all’edizione 2018 sono il record di sempre come numero di partecipanti, incerto perché non riesce a rispondere alla domanda delle domande: il Pd (o quel che ne resta) non ci piace più, ma quindi cosa facciamo?
Proprio qui è il nodo centrale di questa Leopolda, che difficilmente troverà spazio nelle cronache ufficiali.

Prendiamo la sequenza di interventi che hanno preceduto Matteo Renzi nella mattinata di domenica.

Scrittori, preti, manager (Mazzoncini), capipopolo (Bellanova), appassionati protagonisti di mille battaglie (Minopoli): tutti sul palco a parlar di cose da fare, nessuno interessato al congresso, alla candidatura di Minniti (eventuale) contro Zingaretti, alla data delle primarie.

D’altronde questo è quello che esce da tutti i pori anche a Matteo Renzi (che però ancora non osa dirlo).

Gli esce nei gesti, nelle espressioni del viso, nelle chiacchiere dietro il palco.

Gli esce in continuazione nel discorso, dove finisce per parlare di tutto tranne che del Pd, cui sono relegate poche citazioni (peraltro fatte di malavoglia).

D’altronde lo si respira nell’aria di questa Leopolda che c’è voglia di novità a sinistra, voglia di chiudere con un nuovo contenitore politico, una stagione di divisioni e sconfitte, una stagione di errori madornali, di un’élite riunita (neanche tanto spesso) al Nazareno ma sorda al grido di dolore di un’Italia malandata che si è consegnata a Salvini e Di Maio in mancanza di alternative.
Insomma possiamo dire che questa Leopolda numero 9 seppellisce il Pd e lo fa con un certo gusto, perché la Leopolda (o meglio il suo popolo) pensa con tutto il cuore e la testa che proprio il Pd è l’assassino della voglia di cambiamento che questa sala ha cercato di portare avanti in questi anni.

Già perché gli ottomila di Firenze sono letteralmente furibondi con quelli che hanno sabotato tutto da sinistra, dalle riforme costituzionali al “jobs act” passando per le tante candidature boicottate nelle città e nelle regioni.

Il tema però non riguarda solo il passato, ma, se possibile, ancora di più il futuro.

Alla Leopolda nessuno crede più al fatto che possa essere il Pd lo strumento per iniziare la rimonta progressista, riformista, della sinistra che ancora c’è e di quella che (forse) potrebbe tornare ad esistere.

Renzi ha fatto capire di essere d’accordo, ma di avere ancora bisogno di un po’ di tempo per mettere su il progetto (i comitati civici sono il primo, timido, passo).

La sala gli ha detto di si, a patto che accada presto e che lui non rimetta in pista la solita nomenklatura renziana (al minimo storico di popolarità).

Il dado è tratto, resta da stabilire come e quando.

Il Pd non serve più, questo dice la Leopolda 9 (Renzi è d’accordo)

Il popolo renziano ha celebrato la sua Leopolda di resurrezione, uscendo dalla stazione a pochi passi dall’Arno rinfrancato ma incerto sul da farsi. Rinfrancato perché ottomila iscritti all’edizione 2018 sono il record di sempre come numero di partecipanti, incerto perché non riesce a rispondere alla domanda delle domande: il Pd (o quel che ne resta) non ci piace più, ma…

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