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La lira turca ha raggiunto il livello più alto sul dollaro all’inizio di questa settimana, dopo il crollo di quest’anno, ma il leggero rimbalzo della moneta avrà vita breve. Una serie di elementi analitici legati al trend economico, alle scelte di carattere finanziario e alle future mosse erdoganiane legate alla geopolitica spingono a immaginare questa direzione. Ecco che al di là della questione-pastore con Washington, è l’economia di Ankara a non girare, nonostante il ritorno sui mercati. E il presidente Erdogan da un lato torna a bussare all’Ue ma dall’altro continua a provocare Exxon e Grecia a Cipro per il gas.

LIRA

Il calo complessivo del 40% del suo valore rispetto al dollaro c’entra davvero poco con la vicenda del pastore Andrew Branson: certo, ci sono le sanzioni e hanno un peso (in prospettiva e nel breve periodo) ma non sarà la loro possibile revoca a far tornare magicamente in salute le finanze di Ankara, zavorrate da una inflazione monstre sommata alla crisi sistemica avviata con la mega cementificazione della capitale, assieme ai lavori pubblici che costarono a mezza squadra di Erdogan la poltrona in occasione della tangentopoli turca del dicembre 2013.

Non manca però chi intende sottolineare che la soluzione della vicenda Branson possa rappresentare un nuovo inizio per le relazioni americano-turche, che però proprio in questo 2018 hanno visto il loro punto più basso, iniziato con il tattico disimpegno Usa dalla base turca di Incirlik, per spostare basi, mezzi e logistica in Grecia, dove sono pronti i tre siti che ospiteranno Marina e Aeronautica a stelle e strisce. E finendo alla reazione del Congresso dopo l’acquisto turco del sistema di difesa missilistica russo S-400 , una mossa che va contro lo status di membro Nato.

MERCATI

A far respirare Ankara ecco il suo ritorno sui mercati obbligazionari internazionali dopo aver ricevuto offerte per circa 6 miliardi di dollari per i suoi titoli quinquennali. Per cui l’emissione obbligazionaria effettuata lo scorso 16 ottobre ha avuto un rendimento del 7,5% per gli investitori. Gongola il ministero delle finanze secondo cui il 60% delle obbligazioni è stato venduto agli investitori negli Stati Uniti, il 23% nel Regno Unito, l′11% in altre Europa, il 5% in Turchia e l′1% in altre regioni.

Numeri che stanno spingendo in queste ore il Presidente Erdogan a tornare “sui suoi passi” dopo l’estate nera che ha visto la lira turca far temere il peggio. Ha quindi rinnovato la sua richiesta di referendum per determinare se la Turchia continuerà con i suoi colloqui di adesione all’Unione europea o se li concluderà una volta per tutte. E in occasione del TRT World Forum di Istanbul ha affermato che la Turchia attende una risposta di Bruxelles dal 1963. Mettendo l’accento sul fatto che da allora la clemenza mostrata verso altri paesi, che sono poi stati ammessi all’euroclub, non è stata invece destinata alla Turchia.

IRAN

È ancora una volta il dossier energetico a mescolarsi con le sorti di Ankara. Il principale raffinatore di petrolio della Turchia fa appello agli Usa per rinunciare alle sanzioni iraniane. Ovviamente è un grido di dolore che difficilmente avrà seguito. Solo un anno fa l’Iran era la principale fonte petrolifera della Turchia, con 11,5 milioni di tonnellate di acquisti prima di Iraq e Russia.

Il tutto con la protesta veemente di Teheran: “Uno sfacciato insulto all’ordine legale internazionale”. Così il portavoce del ministero degli Esteri iraniano, Bahram Ghasemi, sulle nuove sanzioni verso alcune banche iraniane. E ancora: “Nonostante le sue ipocrite affermazioni di volere sostenere il popolo iraniano Washington vuole creare ostacoli alle relazioni economiche della nazione con la comunità internazionale violando le regole internazionali e i diritti umani”.

ANKARA-NICOSIA-ATENE

Sul gas altre nuvole: in prossimità della Zona economica esclusiva di Cipro (poco distante dai blocchi 4 e 5) la nave oceanografica turca Barbaras è pronta ad avviare le azioni di ricerca, soffiando sul braciere delle polemiche con Nicosia, che quelle perforazioni ha autorizzato per Exxon e Total tramite regolare gara internazionale.

I due colossi stanno proprio per avviare le indagini nel blocco 10 mentre Ankara ha emesso un Navtex sul quale si stanno infiammando le polemiche per la “strana tempistica” turca. Proprio a poche miglia dalla nave Barbaras (scortata da un sommergibile e due fregate) è giunta la fregata greca “Nikiforos Fokas”, accompagnata da altre unità di superficie. E sul punto la stampa turca titola: “Crisi con la Grecia nel Mediterraneo”.

twitter@FDepalo

erdogan, turchia, mediterraneo

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