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Nel corso della visita in Italia del presidente cinese Xi Jinping, sul delicato dossier della Via della Seta, è arrivata la notizia che Francia e Germania hanno organizzato un vertice a Parigi con il leader asiatico, alla presenza del presidente della Commissione europea Jean-Claude Junker, avente ad oggetto non solo le relazioni tra Francia e Cina ma anche quelle tra Europa e Cina. L’iniziativa diplomatica franco-tedesca, con il pieno appoggio della Commissione europea, si sovrappone a quella del governo italiano, con l’evidente intento di marginalizzare e contrastare il ruolo italiano nella delicata trattativa con la Cina.

Del resto, non è una novità che il governo italiano abbia relazioni conflittuali con i protagonisti dell’incontro di Parigi, né che l’Europa veda negativamente i tentativi italiani di ritagliarsi un ruolo autonomo nella negoziazione commerciale con la Cina, in carenza di una concertazione multilaterale. Ma questa volta, si è di fronte a qualcosa di più: il tentativo di delegittimare il governo italiano sul piano diplomatico, nei confronti della Cina, ma anche degli altri protagonisti della scena internazionale, America di Trump in primo luogo.

Si potrebbe dire “c’era da aspettarselo”: i grandi interessi diplomatici e commerciali sottesi alla Via della Seta non vedono di buon occhio il tentativo un po’ velleitario dell’Italia di accaparrarsi una relazione preferenziale con il gigante orientale. E l’Italia non ha né la forza né la convenienza di imporsi sui partner europei ed occidentali, in una competizione diplomatica e commerciale che inevitabilmente vedrebbe in gravi difficoltà il governo italiano, esposto ai rischi di ulteriore isolamento diplomatico, con ricadute potenzialmente molto serie. Trump non dimentica gli sgarbi e prima o poi può farla pagare.

L’Europa, la Francia e la Germania interagiscono con interessi importanti dell’Italia, sul piano politico, finanziario e commerciale, e possono determinarsi negativamente verso il nostro Paese. In questo quadro, la gestione della Via della Seta evidenzia serie criticità della politica estera e commerciale italiana. Sul piano della politica estera, mettersi contro lo storico alleato americano, portando avanti ipotesi di collaborazione con la Cina in settori ad alto rischio strategico e contribuendo a una ricomposizione degli equilibri geopolitici mondiali, in assenza di adeguata concertazione con gli Usa, può incrinare un rapporto bilaterale che è stato ed è fondamentale per la libertà e lo sviluppo dell’Italia. Scavalcare l’Europa e trascurare intese con altri Stati europei nella politica commerciale con la Cina, può aggravare il nostro isolamento diplomatico e limitare i margini di azione economica e finanziaria, influendo negativamente sullo sviluppo del Paese.

Sul piano operativo, aver omesso precisi impegni circa la reciprocità degli interventi, lasciando indeterminata la prospettiva attesa di rapporto tra import ed export, può squilibrare nel tempo l’impatto economico dell’iniziativa. Aver inserito un esplicito riferimento al settore delle comunicazioni, può creare evidenti problemi di ordine strategico e militare e aver espressamente coinvolto infrastrutture di rete che accedono a connessioni internazionali, senza previ accordi internazionali, può risultare incoerente. Infine, non aver previsto chiari vincoli di garanzia circa il controllo delle aziende che saranno coinvolte, può preludere a rischi concreti, non evitabili con il frettoloso ricorso a norme sul golden power.

Queste controindicazioni del dossier Cina sono sicuramente considerate dal governo Conte, ma disattese. È possibile che l’azione di politica estera e commerciale del governo italiano sia riconducibile a una certa improvvisazione, che può far trascurare le implicazioni delle varie opzioni e i vincoli di politica bilaterale e comunitaria. Tuttavia, anche al netto di tali profili di inefficienza, il Memorandum d’Intesa resta gravido di implicazioni negative. Viene allora da pensare che l’idea sottostante l’iniziativa italiana sulla Via della Seta sia mossa da valutazioni a breve termine e non tenga in adeguato conto le conseguenze a lungo termine di un accordo con la Cina privo dei necessari requisiti di politica estera e commerciale: implementare la Via della Seta in questo modo può significare, nel breve, portare nuovi investimenti in Italia e, forse, ottenere l’appoggio dei fondi sovrani cinesi per l’acquisto di titoli di Stato italiani, ovviando in qualche modo alla grave crisi di crescita e di deficit del nostro Paese. A medio e lungo termine, senza adeguata concertazione con i partner politici e commerciali, può significare indebolire il ruolo internazionale e il sistema produttivo dell’Italia.

Sulla Via della Seta nessuna corsia preferenziale per l’Italia. Le manovre di Berlino e Parigi

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