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Se c’è un settore che deve tremare più di tutti in questi giorni di spread al rialzo, è il credito. Per due motivi essenzialmente. Primo, la manovra del governo prevede che le coperture necessarie per sostenerne l’impianto vengano trovate anche attraverso una stretta sulle banche. Infatti, per ottenere nuove risorse, l’esecutivo potrebbe decidere di aumentare la tassazione sugli istituti, rendendo alcuni costi (interessi passivi e accantonamenti per perdite su crediti) non interamente deducibili fiscalmente.

Secondo, l’aumento a oltranza del differenziale Btp/Bund si sta lentamente mangiando il patrimonio delle banche, tanto da costringerle a valutare in queste settimane delle ricapitalizzazioni. Un report di Credit Suisse di poche ore fa suggeriva per esempio che un aumento dello spread di 200 punti base dal livello dei 238 punti di fine giugno ridurrebbe il Cet1 di 66 punti base (dal 12,53% all’11,87%) per le maggiori banche “innescando aumenti di capitale”.

Ma qual è esattamente il tetto dello spread, immaginario ma non troppo, che farebbe scattare l’allarme rosso? Quel limite cioè oltre il quale sarebbe immediatamente necessaria una ricapitalizzazione, onde evitare il default. Le banche italiane, non è un mistero, sono piene zeppe di Btp e dunque esposte più di ogni altro segmento alle oscillazioni dello spread. A fare due conti ci ha pensato Fidentiis, elaborando una serie di stime sui tetti di spread per alcune delle maggiori banche del Paese.

Fidentiis ipotizza per esempio che un aumento dello spread di 100 punti base si tradurrebbe in 30-40 punti base in meno di Cet1, facendo notare che ai suoi massimi lo spread aveva toccato oltre 500 punti nel 2011. Il broker ha quindi calcolato il potenziale aumento dello spread, rispetto ai 267 punti base della fine del primo trimestre 2018, che farebbe scattare il warning per le banche, con la discesa del Cet1 sotto il livello del Srep (Supervisor Review and Evaluation Process, il test condotto dalla Bce che le banche devono superare a seguito del quale quest’ultima indica il livello di Cet1 da raggiungere).

Ebbene: per il Banco Bpm, per esempio, il differenziale dovrebbe salire di 715 punti prima di cadere in zona di pericolo, per Ubi di 321 punti, per Mps di 335 punti, per Credem di 576 punti, per Bper di 2017 punti, per Intesa Sanpaolo di 1.075 punti, per Mediobanca di 5.095 punti e per Unicredit di 696 punti. Come è facile intuire, sono Mps e Ubi i due istituti più vicini agli attuali valori dello spread, dunque più a rischio.

Non è allora forse un caso che le stesse banche ma per bocca di Bankitalia, ascoltata oggi in Parlamento subito dopo il ministro Tria, ha stroncato l’attuale manovra. “L’aumento dei trasferimenti correnti per reddito di cittadinanza e pensioni così come gli sgravi fiscali, tendono ad avere effetti congiunturali modesti e graduali nel tempo; stimiamo che il moltiplicatore del reddito associato a questi interventi sia contenuto”, si legge nel documento depositato in commissione Bilancio. “Anche lo stop all’Iva dovrebbe avere un effetto limitato. Impatto che potrebbe essere ancora inferiore o nullo se il mancato aumento dell’Iva fosse già stato incorporato nelle aspettative delle famiglie”.

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A quanto deve arrivare lo spread per mettere ko le banche? Report Fidentiis

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