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In città pochi lo sanno, eppure domenica prossima i romani saranno chiamati alle urne. Non per le elezioni comunali – quelle sono previste nel 2021, a meno che sabato non arrivi una sentenza di condanna nella vicenda che vede coinvolta la sindaca Virginia Raggi – ma per decidere le sorti del servizio di trasporto pubblico. Dalle 8 di mattina alle 8 di sera i residenti nella capitale e gli altri aventi diritto, tessera elettorale alla mano, potranno recarsi nelle scuole della città e votare al referendum indetto su iniziativa del comitato Mobilitiamo Roma guidato da due esponenti di Radicali Italiani e + Europa: il deputato Riccardo Magi e il consigliere regionale del Lazio Alessandro Capriccioli. Un referendum solamente consultivo per il quale è comunque previsto un quorum: perché l’esito sia validato, è necessario che partecipi al voto il 33% degli aventi diritto, poco meno di 760.00 persone. Consultivo sì, ma dall’alto valore simbolico considerato che di mezzo ci sono due malati cronici della capitale (e d’Italia): la dissestata Atac – l’azienda partecipata al 100% dal comune che gestisce il servizio di mobilità urbana – e il sistema romano dei trasporti. Formiche.net ha parlato di questa importante consultazione con Magi che ha subito inviato un messaggio chiaro: “Questo referendum è una delle rarissime occasioni che i romani hanno per manifestare una reazione democratica, partecipativa e di proposta rispetto al declino che la città sta vivendo e al quale non vogliamo e non possiamo rassegnarci”.

Magi, partiamo dall’inizio. Perché avete promosso questa iniziativa?

Perché il trasporto pubblico nella capitale vive una gravissima crisi da troppi anni. Secondo tutti i sondaggi si tratta del problema più sentito dai romani e da tutti coloro che vivono e lavorano in città. Una vera e propria piaga che  ha ripercussioni molto rilevanti su numerose altre questioni. Basti pensare che Roma è la capitale europea con il più alto tasso di motorizzazione privata con conseguenze pesantissime: il traffico e il caos ma anche gli incidenti stradali e l’inquinamento. Ma la mancanza di un trasporto pubblico efficiente ha effetti drammatici pure sul tessuto produttivo: una metropoli in cui si fa così fatica a spostarsi non può essere attrattiva per le attività economiche.

Qual è l’obiettivo di fondo di questo referendum?

Che vi sia un alternativa all’attuale sistema nel quale il Campidoglio continua ad affidare per inerzia e in automatico la gestione del trasporto pubblico ad Atac, controllata dal comune al 100%.

Quale alternativa?

Il referendum mira ad aprire un dibattito non tanto su Atac quanto piuttosto sul modo attraverso cui il comune eroga il trasporto pubblico. Ma c’è un’enorme resistenza anche solo a dibattere di una possibile alternativa all’affidamento in house del servizio che le amministrazioni pubbliche, peraltro, dovrebbero scegliere solo in via di eccezione rispetto alla gara: il regolamento europeo del 2007 indica come modalità prioritaria per affidare la gestione del servizio dei trasporto pubblico locale la gara europea. E dice anche che le amministrazioni possono andare in deroga solo se dimostrano che l’affidamento in house è in grado di determinare un servizio più economico ed efficiente.

Difficile ritenere che in questo caso sia così. O no?

Ovviamente, questa condizione nel caso di Atac è indimostrabile: come si fa a dire che è economico ed efficiente effettuare l’affidamento a un’azienda che ha prodotto un miliardo e 400 milioni di debiti e il cui servizio peggiora di anno in anno? L’azienda strutturalmente non è in grado di produrre i milioni di kilometri di corse che servono alla città.

I contrari però dicono che si tratta di una privatizzazione. Perché contestate questa impostazione?

Sbagliano perché il referendum non c’entra nulla con la privatizzazione: un concetto totalmente diverso che riguarda la natura giuridica di un’azienda, pubblica, privata o mista che sia. Il referendum, invece, attiene alle modalità attraverso cui il comune eroga il servizio. E quindi chiede ai cittadini di pronunciarsi a favore dell’affidamento con gara europea alla quale possono partecipare sia soggetti pubblici che privati.

A suo avviso, qual è la portata della sfida che avete lanciato con il referendum?

Questa è un’iniziativa politica che ha un valore nazionale, innanzitutto perché al centro c’è la capitale i cui mali sono ormai di portata addirittura internazionale. Purtroppo spesso ci si occupa di Roma con rassegnazione, quasi con un senso di ineluttabilità, come se non ci fossero soluzioni possibili. Noi invece proviamo con questo referendum a dare una risposta in termini di policy. E poi Atac è la più grande azienda di trasporto pubblico locale del Paese e tra le maggiori d’Europa. Senza contare che si tratta di tanti soldi pubblici: ogni anno vengono impiegati in questo servizio tra i 200 e i 700 milioni di euro. Risorse che in gran parte arrivano dalla fiscalità nazionale generale: dal fondo nazionale dei trasporti attraverso la regione fino a Roma Capitale.

Politicamente che clima si respira intorno a questo referendum?

La questione è delicata: il Pd, dopo una consultazione interna tra gli iscritti e i circoli, si è dichiarato a favore e ne siamo soddisfatti. Nel centrodestra, invece, ci sono solo voci isolate come quelle di Stefano Parisi e del deputato di Forza Italia Andrea Ruggieri mentre Giorgia Meloni è contraria. Così come i cinquestelle.

Ci sono margini per essere fiduciosi da parte vostra o si tratta di un sfida persa in partenza?

Il problema più importante è la partecipazione, non tanto la vittoria del sì. Al momento troppe poche persone conoscono l’esistenza stessa del referendum. In pratica non è stata fatta alcuna attività d’informazione sui cittadini da parte del comune.

La sorprende l’atteggiamento del MoVimento 5 Stelle e del Campidoglio? In fondo difendere Atac vuol dire difendere lo status quo, che i cinquestelle hanno sempre detto di voler modificare alla radice…

Non mi sorprende ma va segnalato. Intanto c’è un dato di metodo e di credibilità di questa amministrazione: hanno sempre sostenuto di voler incentivare la partecipazione diretta dei cittadini. Tutta teoria. Nel frattempo hanno fatto di tutto per boicottare questo referendum che rappresenta pur sempre un appuntamento istituzionale. Parlano di democrazia diretta, ma sono solo parole.

E nel merito cosa ne pensa della posizione dei pentastellati?

Mi pare sia successo qualcosa: quando erano all’opposizione di Ignazio Marino, sostenevano di essere favorevoli alla gara che sarebbe arrivata nel 2019 alla scadenza del precedente affidamento in house fatto da Gianni Alemanno. Erano in pratica gli unici a dirlo. Poi la situazione è cambiata al punto che questa giunta ha prorogato l’affidamento in house ad Atac dal 2019 al 2021. Proroga rispetto alla quale abbiamo presentato un ricorso Tar che è ancora pendente.

Il Campidoglio però sostiene che il servizio migliorerà, che sono state investire risorse per il trasporto pubblico e che presto arriveranno nuovi autobus. Ci crede?

È una promessa che cozza con la realtà: la capacità di Atac di produrre il servizio peggiora ogni anno. Possono dire quello che vogliono ma sono due anni e mezzo che governano: non è più accettabile che ogni responsabilità venga addossata a chi c’era prima, che pure ha sbagliato e molto come abbiamo più volte denunciato.

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