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Riavvolgendo il nastro degli avvenimenti delle ultime settimane in Libia è difficile scorgere spiragli di luce che possano rischiarare il deserto di caos nel quale il paese è precipitato. Le elezioni, che i francesi continuano a professare necessarie entro la fine dell’anno, appaiono un traguardo sempre più lontano. La rivendicazione da parte dell’Isis dell’attentato alla Compagnia petrolifera libica (Noc) ha palesato uno spettro che soltanto gli echi dei droni americani facevano emergere. L’infiltrazione e il ruolo non marginale di Daesh. Tra vuoti di potere e aspri scontri interni, continuati anche nelle ultime ore con la notizia del lancio di razzi sull’aeroporto di Mitiga, è questo il contesto nel quale la comunità internazionale deve cercare di non perdere il filo sottile di una riconciliazione possibile.

In un’intervista a Il Mattino, Ghassan Salamè, inviato speciale dell’Onu per la Libia e autorevole mediatore nel processo di stabilizzazione nella regione, afferma: “Daesh ha dimostrato più volte di essere in grado di compiere attacchi, ne sono un esempio l’orrendo attentato alla Commissione elettorale, quello condotto vicino a Zliten. Fino all’altro ieri con il deplorevole attentato contro i pozzi petroliferi della National Oil Company. Si tratta – ha spiegato al giornalista Valentino Di Giacomo – di un fenomeno allarmante che rende bene l’idea di quanto sia pericolosa la capacità di queste organizzazioni terroristiche di sapersi rigenerare in un territorio già a rischio come quello libico”.

I crucci dell’Inviato speciale riguardano il contesto generale in cui versa il Paese, fragile come se si trovasse sull’orlo di un precipizio: “Sono profondamente preoccupato, se il processo politico si fermasse, che la Libia possa diventare un rifugio per i terroristi di tutte le convinzioni. Nel mio recente briefing al Consiglio di sicurezza dell’Onu, ho chiesto al Consiglio di contribuire a fronteggiare questa minaccia incombente”, ha continuato.

E che lo Stato africano possa divenire un territorio franco per i terroristi trova la drammatica conferma nel comunicato con cui l’Isis ha rivendicato l’attentato a Tripoli, annunciando che i suoi “soldati” avrebbero compiuto un attacco per colpire “gli interessi dei tiranni in Libia, fedeli ai crociati”. E ancora: “I giacimenti di petrolio che servono ai crociati e i loro progetti in Libia sono dei bersagli legittimi per i mujaheddin”, ha aggiunto il gruppo terroristico, affermando, inoltre, come gli autori dell’attentato siano morti immolandosi per la causa.

In contemporanea, anche il premier del governo riconosciuto di Tripoli, Al Serraj, conscio del pericolo, in un’intervista al Corriere della Sera lancia l’appello “affinché la comunità internazionale ci ascolti e aiuti. Il nostro è un Paese cruciale, le bande criminali si arricchiscono con il traffico dei migranti e i contrabbandi illeciti. E ci sono alcuni Paesi vicini che sfruttano il nostro caos interno a loro beneficio. Da soli non possiamo farcela, necessitiamo del vostro aiuto”. Smentendo, inoltre, ogni possibile voce sulle sue dimissioni: “Io con i miei collaboratori siamo costantemente oggetto di accuse, informazioni false e offese. Ci sono forze che le diffondono a bella posta per instillare nel pubblico un pernicioso senso di instabilità e precarietà. Dico invece con assoluta sicurezza che nessuno di noi pensa di fuggire di fronte alle difficoltà. Considero un mio dovere restare in Libia a compiere il mio lavoro”, ha aggiunto.

In Italia, d’altra parte, il costante lavoro del governo resta proiettato al dialogo e all’inclusione di tutti gli attori in gioco, anche in previsione della conferenza del 10 novembre. Dopo la sua missione a Bengasi dove ha incontrato il generale Khalifa Haftar, il ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, Enzo Moavero Milanesi, ha avuto alcuni colloqui telefonici con il presidente del Consiglio presidenziale libico, Fayez al-Serraj, con il vice presidente del Consiglio presidenziale, Ahmed Maitig, e con il ministro degli Esteri del governo di accordo nazionale, Mohamed Taher Syala. Una tela diplomatica coerente con il quadro di sicurezza nazionale che il premier Giuseppe Conte ha rappresentato al Copasir confermando il ruolo di Roma e della sua intelligence.

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