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Il clima che cambia, certo. Ma anche un Paese incapace di darsi delle regole, pagandone poi un conto salato. Il maltempo e i suoi disastri, in Veneto come in Sicilia, non fa molta differenza, ci ricordano ancora una volta tutta la fragilità dell’Italia, incapace di proteggersi da un cambiamento climatico ormai irreversibile (qui l’intervista al saggista ed ex sottosegretario Erasmo D’Angelis). Di chi è la colpa? Ancora una voce autorevole interpellata da Formiche.net, per capire come sia possibile che un Paese che è la settima economia mondiale sia periodicamente ostaggio di vento e pioggia. Quella di Mario Tozzi, geologo e ambientalista spesso prestato alla televisione.

“Il nostro Paese, dal punto di vista idrogeologico, è fragile di suo. E c’è un cambiamento climatico in atto che rende estremi questi fenomeni. Ma tutto il resto lo facciamo noi. Gli eventi naturali diventano catastrofici per causa nostra”, spiega Tozzi. “Il fatto è che l’Italia è anche in una posizione scomoda perché compresa tra il sub-deserto e l’Europa boreale, il che porta spesso le perturbazioni a stazionare sul nostro Paese. A questo si aggiunge il fatto che siamo geologicamente instabili, il che aggrava la situazione. Quella casa in Sicilia non doveva starci lì vicino al fiume”. Ma non può certo bastare per giustificare un disastro di simili proporzioni.

“Gli eventi naturali che hanno colpito l’intera penisola, forse con la sola esclusione del vento eccezionale, sono diventati una catastrofe solo e soltanto per colpa nostra: per essere ancora più chiari, dove ci sono fiumi e costruzioni nello stesso luogo, nel posto sbagliato ci stanno le case, non l’acqua”, chiarisce il geologo. “In questo Paese abbiamo un record a livello europeo. Bruciamo 2 metri quadrati di terreno al secondo, nessuno va più veloce di noi. C’è un’urbanizzazione che viaggia alla velocità della luce e questo stravolge il territorio. A questo va aggiunto il fattore abusivismo che ha accentuato il tutto”.

Secondo Tozzi per chiudere il cerchio mancano due elementi. I fondi e la cultura della prevenzione. “Ci sono miliardi fermi che non sono stati spesi, almeno sette. E se si spendono lo si fa per l’emergenza non per la prevenzione. Si usano i soldi, se si usano, quando il disastro è compiuto e questo perché manca una vera cultura della prevenzione. In Veneto per esempio, i fiumi avrebbero dovuto essere liberati e invece sono stati confinati negli argini”. Le conseguenze le abbiamo viste.

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