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Ormai è un combattimento corpo a corpo. Da una parte c’è Giovanni Tria, deciso a difendere palmo a palmo l’impianto del Def gialloverde. Dall’altra c’è il progressivo accerchiamento dell’esecutivo ad opera delle principali autorità indipendenti (Bankitalia, Corte dei conti e Ufficio parlamentare di bilancio), decisamente mal poste nei confronti delle stime e delle misure contenute nel documento, a cominciare dal capitolo pensioni (qui l’intervista di ieri a Michel Martone).

Oggi però si è aggiunta anche Moody’s, l’agenzia di rating che aveva deciso di rimandare il suo giudizio sull’Italia all’indomani del Def. Ecco, il governo è servito, perché oggi è arrivato un preambolo di declassamento. Sullo sfondo però, rimane sempre e comunque il mercato, prestatore di denaro di ultima istanza per l’Italia.

QUANTO VALE LA MANOVRA?

Bisogna andarci piano per capire come stanno veramente le cose. Tanto per cominciare, finalmente, c’è un importo abbastanza preciso sulla portata della prima manovra gialloverde. Lo ha fornito lo stesso ministro dell’Economia, ascoltato nuovamente questa mattina nelle commissioni Bilancio di Camera e Senato. Ecco il dato tanto atteso. “Nel suo complesso la manovra è quantificabile in un aumento dell’indebitamento pubblico di circa 22 miliardi di euro nel 2019. Per il 2019 invece la manovra prevede interventi di copertura finanziaria per un ammontare complessivo di 15 miliardi di euro, tra tagli di spesa (per 6,9 miliardi) e aumenti di entrate (per 8,1 miliardi)”. Il conto è presto fatto: 37 miliardi di euro, di cui 22, il grosso, a deficit.

L’EFFETTO SUL PIL

Nella medesima mattinata sono arrivati altri numeri ufficiali sulla manovra, frutto dei calcoli che il Tesoro si appresta a portare in Consiglio dei ministri. Per esempio, quanto l’ex Finanziaria impatterà sulla crescita. Circa lo 0,6% nel 2019, 0,5% nel 2020 e 0,3% nel 2021. Il resto dovranno farlo gli investimenti pubblici. E qui si entra nella zona d’ombra, visto che la spinta agli investimenti nella manovra non sembra essere adeguata al deficit infrastrutturale italiano. Nel dettaglio la sterilizzazione dell’aumento dell’Iva per 12,5 miliardi sostiene la crescita per 0,2 punti percentuali l’anno prossimo. Reddito di cittadinanza e riforma delle pensioni invece determineranno un incremento del tasso di variazione del Pil di 0,3 punti percentuali nel 2019 e 0,2 punti nel 2020 e 2021. La flat tax spingerà invece la crescita per 0,1 punti percentuali nel 2021, gli investimenti per 0,2 punti percentuali.

MEF CONTRO UPB (O VICEVERSA?)

Fin qui le cifre, belle o brutte che siano. Ma c’è chi, ieri, ha dato già i suoi verdetti. Bankitalia sì ma soprattutto l’Ufficio parlamentare di bilancio, l’organismo deputato per conto di Camera e Senato di esprimersi sui principali provvedimenti di finanza pubblica. Tria non deve aver preso bene la sonora bocciatura arrivata ieri in serata, a mercati chiusi. E per questo ha risposto per le rime. “Nessuno ha voluto mettere in dubbio le capacità tecniche dell’Ubp, non abbiamo parlato di dati obsoleti sulle previsioni dell’Upb ma credo che il rispetto istituzionale vada in tutte le direzioni perché le strutture tecniche del Mef non sono meno valide di altri istituti e le capacità tecniche non sono cambiate quest’anno. Francamente non credo che le capacità tecniche e i modelli del Mef siano inferiori a quelli degli altri”.

L’AVVISO DI GARANZIA DI MOODY’S

Adesso che le carte sono sul tavolo, è tempo di pagelle. E, forse, anche di allacciare le cinture. A fine mese è previsto il giudizio sul rating italiano di Moody’s, che potrebbe collocare pericolosamente il debito italiano un gradino sopra junk, spazzatura. Nell’attesa che arrivi, entro fine mese, l’aggiornamento sul rating Moody’s suona il campanello d’allarme. Mark Zandi, capo economista di Moody’s Analytics ha detto senza mezzi termini che “è logico aspettarsi che le preoccupazioni sull’Italia manifestate in questi giorni dai mercati si rifletteranno anche nelle prossime valutazioni delle agenzie di rating”. Come a dire, se lo spread punisce, lo faranno anche le agenzie. L’analista fa questa previsione partendo dai fatti: “Il giudizio dei mercati, come quello delle agenzie di rating, non si basa sulla politica, ma sui numeri, che sono dati oggettivi e uguali per tutti”. E giudica la manovra del governo italiano “un errore, perché è come giocare d’azzardo con la salute economica e fiscale di lungo termine dell’Italia”.

IL SILENZIO DELLO SPREAD

C’è però una sorpresa, questa mattina. Lo spread sembra, almeno per qualche ora, aver voltato le spalle ai guai italiani. Il differenziale Btp/Bund ha aperto la seduta a 304 punti base per poi scendere a 294 (ieri ha chiuso a 299) mentre Tria parlava e Moody’s attaccava. Forse sarà perché Tria ha assicurato che verrà fatto il possibile per recuperare la fiducia dei mercati. Sarà bene, perché entro fine ottobre il Tesoro deve collocare 40 miliardi di debito, 254 solo nella prossima primavera.

Ecco a voi la manovra gialloverde. Ora la resa dei conti con mercati e Ue

Ormai è un combattimento corpo a corpo. Da una parte c'è Giovanni Tria, deciso a difendere palmo a palmo l'impianto del Def gialloverde. Dall'altra c'è il progressivo accerchiamento dell'esecutivo ad opera delle principali autorità indipendenti (Bankitalia, Corte dei conti e Ufficio parlamentare di bilancio), decisamente mal poste nei confronti delle stime e delle misure contenute nel documento, a cominciare dal…

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