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Ieri il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha dettato da Twitter (come al solito) l’agenda della politica internazionale riaccendendo i riflettori su un dossier che stava procedendo con lentezza fino a qualche settimana fa. Trump ha parlato del suo prossimo incontro con il nordcoreano Kim Jong-un, confermando la data annunciata durante il Discorso sullo stato dell’Unione (27-28 febbraio) e aggiungendo un dettaglio in più: il luogo sarà in Vietnam, ma non sulla costa, a Danang, ma ad Hanoi, nella capitale. Nei giorni scorsi 4 Osprey americani – aerei spesso utilizzati per operazioni speciali – erano stati fotografati in una pista dell’aeroporto di Danang, e si era pensato che quella fosse un conferma definitiva delle voci che circolavano da un po’ sul luogo dell’incontro: non era così evidentemente, ma è probabile comunque che la presenza di quei velivoli rientri nel quadro di preparativi per il vertice.

Ieri l’inviato speciale degli Stati Uniti per il dossier nordcoreano, Stephen Biegun, è rientrato a Seul dopo alcuni colloqui a Pyongyang in cui s’è decisa definitivamente l’agenda del meeting. Si tratta del secondo incontro tra Trump e il Kim nel giro di pochi mesi (il primo il 12 giugno 2018 a Singapore), è in corso una fase negoziale partita da circa un anno, ma non va dimenticato che a fine 2017 Washington affrontava il dossier Nord con toni guerreschi e minacce continue, davanti ai test missilistici e nucleari che il regime asiatico portava avanti – anche provocatoriamente – con cadenza quasi mensile. Per questo tutti i dettagli dell’incontro devono essere preparati con attenzione. Anche se il clima è molto cambiato, pure nella forma semantica. 

Una volta Trump chiamava il satrapo nordcoreano “Little Rocket Man”: era il periodo in cui la sua presidenza si confrontava a brutto muso con il Nord. Ora non cambia la scelta lessicale (bel lavoro di comunicazione, ndr) ma quel “rocket” viene adesso indirizzato verso una sorta di boom economico: crescerete come un missile! Trump dice di non essere stupito delle capacità di “leadership” del nordcoreano (da tempo Kim non è più chiamato coi nomignoli da dittatore pazzo, perché altrimenti il Prez non avrebbe potuto incontrarlo, ma “chairman”). Dall’inizio dell’attuale fase negoziale, Trump ha più volte detto di trovarsi in empatia (“c’è chimica”) con Kim.

Il tema ricorrente con cui la Casa Bianca sta accompagnando il prossimo incontro è la crescita economica del Nord, argomento (la prosperità economica) che Trump ha a cuore — e che il Nord non potrà mai raggiungere se non mollerà il programma nucleare per cui è pressato dalle sanzioni internazionali. E Biegun segue la linea: il Korea Times scrive che nelle ultime discussioni col Nord – facilitate anche dalla Corea del Sud – gli americani si sono mostrati più aperti sulla possibilità di avviare un alleggerimento del regime sanzionatorio. La strategia adesso sembra essere: allentare un po’ la presa (che fino a settimane fa doveva procedere invece verso la “massima pressione”) e permettere a Pyongyang di beneficiare di qualche plus economico, dare fiducia e sperare di ottenere in cambio da Kim progressi verso la denuclearizzazione. Su cui sembra esserci un elemento in più.

A quanto detto da fonti informate sul dossier sempre al Korea Times (forse dalla parte sudcoreana), gli americani avrebbero chiesto ai funzionari del regime del Nord di fornire una lista di tutti i tecnici impiegati nel programma nucleare e impegnati nello sviluppo del programma sui missili balistici intercontinentali. Liste su chi e cosa è attivo nel programma sono una prerogativa verso la denuclearizzazione; nelle scorse settimane, ci sono stati alcuni report redatti da istituti di analisi che indicavano un comportamento scorretto da parte di Pyongyang, accusato di aver mentito sull’esistenza di alcuni laboratori nucleari non indicati in liste precedenti e usati clandestinamente per proseguire il programma.

Gli Stati Uniti affrontano il dossier nordcoreano anche con due ottiche diverse, oltre al raggiungimento degli obiettivi sull’atomica. Primo, il rapporto con la Corea del Sud, alleato tra quelli che più volte Trump ha accusato di pesare su Washington. Pare che i due governi abbiano raggiunto un accordo su una maggiore condivisione delle spese che riguardano la gestione dei trentamila soldati americani della US Force Korea presenti sul territorio coreano. Il governo del presidente Moon Jae-in accetterebbe così di seguire le indicazioni/volontà/pressioni trumpiane e aumenta a circa 6 miliardi di dollari l’anno la partecipazione alle spese per la sua sicurezza.

Una nota su Moon: il presidente è considerato il vero motore dietro a questa fase negoziale, avendo aperto al Nord fin dai tempi della sua campagna elettorale. Una posizione inizialmente non condivisa da Trump anche per via di quella necessità di riequilibrio di cui sopra, su cui poi l’americano s’è dovuto allineare anche perché la Cina si era velocemente inserita sul solco. Il ri-bilanciamento sulle spese militari del Sud può anche avere questo senso. Giulia Pompili, una delle giornaliste italiane più esperte sull’Asia, fa notare sulla sua newsletter “Katane” per il Foglio che Moon sta vivendo una fase quasi da “anatra zoppa”, il termine con cui viene chiamato il presidente americano a fine mandato. Moon è stato eletto con una grande spinta nel 2017, la sua presidenza era considerata una rinascita per Seul anche per via dell’annunciato inizio del dialogo intra-coreano: ora, nonostante le relazioni con i cugini del Nord siano migliorate esponenzialmente, il suo consenso è comunque in calo, forse perché i sudcoreani sanno che è nel terzo anno di cinque di un mandato non rinnovabile.

Il secondo obiettivo a cui Washington guarda quando tratta con Pyongyang è la Cina. Il dossier nordcoreano è considerato strategico dall’amministrazione Trump perché può essere usato come punto di contatto con Pechino, un territorio in cui sperimentare una sorta di cooperazione. Tre giorni fa, Trump ha dato conferme su un incontro con l’omologo Xi Jinping che pareva potersi concretizzare in Vietnam, negli stessi giorni del meeting con Kim, ossia pochi giorni prima della scadenza dell’ultimatum che l’amministrazione statunitense ha imposto per chiudere un accordo commerciale con i cinesi. Nessun faccia a faccia prima di quella scadenza, ha detto l’americano, che sulla Corea del Nord testa la Cina.

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