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Nuove apprensioni per un Paese che è già sull’orlo di una crisi di nervi. Che il presidente della Bce si rechi in visita al Capo dello stato è un fatto inusuale. Tanto più che è facile intuire quale sia stato il motivo dell’incontro, durante questa fase convulsa che fa da sfondo al varo della Nota d’aggiornamento al Def.

Si sarà parlato dei timori per un aumento degli spread, anche in vista della fine del quantitative easing? Della traballante struttura di una manovra che elargisce risorse che non si posseggono? Chi può dirlo? Bocche cucite, com’è tradizione. Ma il riserbo non tranquillizza. Spinge i media formulare ipotesi più o meno fantasiose. È tutto ciò alimenta un clima che l’ultima lettera della Commissione europea ha reso incandescente.

Non ci siamo!: questo é stato il richiamo di Bruxelles. I conti italiani saranno verificati con calma, come avviene per tutti gli altri Paesi, ma fin da ora si anticipa un giudizio scontato, ma pur sempre negativo e denso di avere ripercussioni ancora più gravi. Lo vedremo lunedì alla riapertura dei mercati.

La Commissione ha risposto ad una lettera del ministro Tria, nella quale si indicavano, magnificandoli, gli obiettivi della manovra. Uno scambio epistolare normale in tempi normali. Ma questi non lo sono. Sono, invece, fin troppo concitati ed eccezionali. Ed allora sarebbe, forse, bene non derogare. Ricondurre il rapporto con la Commissione europea in un alveo esclusivamente istituzionale: fatto di trasmissione degli atti e loro esame nelle sedi più proprie. Meglio evitare, in altre parole, iniziative estemporanee. Soprattutto di cadere nelle provocazioni. Il clima pre elettorale non aiuta. Spinge gli stessi commissari ad indossare la veste di politici e obbliga quindi ad una risposta. Ma mentre i primi rischiano niente, in Italia le conseguenze possono essere pesanti. Come risulta evidente dalle incertezze che dominano i mercati.

Che la manovra predisposta dal governo non sia proprio il massimo è un dato di fatto. Se si esamina con cura – cosa che stiamo facendo – emergono forzature ed incongruenze che non la rendono credibile. A partire dall’ipotizzato aumento del tasso di crescita dovuto ad uno shock da consumo (sic!). Che, se vero, sarebbe degno di un premio Nobel per l’economia. Ma se su questa base si innestano le polemiche con il resto dell’Europa la frittata è fatta: borsa in picchiata e spread in rialzo. Passi veloci verso un possibile default.

Tutto ciò richiede quindi prudenza, che non significa accodamento. Nei dieci anni che ci separano dal fallimento della Lehman Brothers l’Italia ha pagato un prezzo enorme. Ancora oggi, se si esclude la Grecia, è l’unico paese a non aver recuperato i livelli di reddito del 2007, con una distanza di 5 o 6 punti di Pil. Il segno tangibile di una sofferenza sociale che si è riflessa nei risultati delle ultime elezioni. Né si può dire che il Paese abbia buttato la spugna. Chi ha potuto, ha lavorato duro, come dimostrano i brillanti risultati della bilancia commerciale. Merci vendute in tutto il mondo. Prodotte da una miriade di piccole aziende, nonostante le difficoltà incontrate: sul fronte del credito, a causa di una burocrazia ossessiva ed un carico fiscale secondo solo alla Francia. Le cui strutture statuali sono lontane mille anni luce rispetto a quel residuo borbonico che è gran parte della pubblica amministrazione italiana. Specie nel Mezzogiorno.

Ciò che è mancata, ma che purtroppo ancora oggi si vede poco, è una politica di sviluppo. Eppure l’esperienza dovrebbe insegnare. Se le distanze tra il Nord ed il Sud sono aumentate, una qualche ragione vi deve pur essere. Si può affrontare e tentare di risolvere il problema mettendo mano a quel salario di cittadinanza che rappresenta il fiore all’occhiello dei 5 stelle? Nell’esperienza internazionale, il tema del sottosviluppo o del mancato sviluppo ha avuto mille facce. Prodotto tanti di quegli studi da riempire intere biblioteche. Non siamo quindi all’anno zero. Su un principio, in particolare, l’accordo è generale. A chi chiede giustamente maggior benessere non dategli un pesce, ma una canna da pesca per poter risolvere con continuità i suoi problemi.

Nella filosofia di fondo di quella che sarà la prossima legge di bilancio, vi sono invece troppi pesci e poche canne da pesca. Pesci tra l’altro non presi durante un’uscita in mare particolarmente fortunata, ma comprati a credito in una pescheria. Perché meravigliarsi, allora, se i mercati finanziari hanno il pollice verso e l’Europa ci guarda con sospetto? Al punto che lo stesso Mario Draghi sente l’esigenza di far visita al Presidente della Repubblica. Di sicuro non per parlare del tempo.

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Manovra, troppi pesci e poche canne da pesca

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