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Il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, ha annunciato che questa settimana dirà luogo e data del prossimo incontro col satrapo nordcoreano Kim Jong-un. Le indiscrezioni dicono fine febbraio, in Vietnam, per replicare il vertice di giugno 2018 a Singapore e dare un nuovo impulso a un dossier che sembra andare a rilento. Con quel “sembra” che ha assunto un valore ancora più concreto da quando il capo di tutte le agenzie di intelligence americane, il Dni Dan Coats, ha detto in audizione al Senato che secondo le informazioni a sua disposizione (che sono un pacchetto di dati praticamente unico al mondo) Pyongyang non ha interesse a denuclearizzare totalmente come vorrebbe Washington.

L’inviato speciale americano per il dossier nordcoreano, Stephen Biegun, è di nuovo a Seul, e in questi giorni sta discutendo con gli alleati del Sud la strategia comune da tenere con Kim. Il presidente Moon Jae-in è il vero motore della spinta negoziale in atto da un anno, ma anche il Palazzo Blu sta iniziando a rendersi conto che la situazione non ha molti margini di sbocco. Biegun incontrerà anche ufficiali del regime inviati da Pyongyang (forse a Panmunjom, villaggio di confine che ospita riunioni di questo genere intra-coreane), con i quali discuterà dettagli sulla pianificazione tecnica del prossimo vertice Kim-Trump da riportare a Washington.

Biegun non s’è esposto con la stampa sui dettagli della situazione, mentre Trump ha detto in un’intervista alla CBS che “forse” durante il Discorso sullo stato dell’Unione (in programma martedì 5) o “poco prima” darà dettagli sull’incontro con Kim. È tutto pronto, ha annunciato il Presidente all’anchorgirl Margaret Brennan, “Non vedo l’ora! Non vedo l’ora, abbiamo fatto progressi”. “Se ricordi, prima che diventassi Presidente, sembrava che stessimo andando in guerra contro la Corea del Nord. Ora abbiamo una relazione molto buona”.

Poi Brennan ha fatto una domanda sulla testimonianza di Coats, e Trump – che nei giorni scorsi, dopo l’audizione, aveva definito la sua intelligence “naïve”, ingenua – ha risposto che quello è “ciò che pensa il capo dei servizi segreti”. “Perché, si sbaglia?” ha incalzato la giornalista: “C’è una buona possibilità”, ha detto il Presidente, spiegando che probabilmente con Kim “faremo un accordo”, perché “lui mi piace” (“Vado d’accordo con lui. Abbiamo una chimica fantastica”). Trump ha articolato: la Corea del Nord può essere “un colosso economico” anche grazie alla posizione geografica tra Cina, Russia e Corea del Sud, ma non può esserlo con le armi nucleari.

Poi il Presidente, dopo una domanda specifica, è passato su un punto nevralgico: la permanenza delle truppe americane in Corea del Sud. Il contingente, che va sotto il nome di US Force Korea, è detestato dal Nord e criticato dalla Cina, perché entrambe le nazioni lo vedono come una forma di deterrenza diretta (e infatti lo è, ndr). L’idea del doppio congelamento cinese passa da qui: Pechino sostiene che a fronte di un blocco del programma nucleare nordcoreano, gli Stati Uniti dovrebbero ritirarsi dalla penisola di Corea – ed è ovviamente una posizione interessata, perché quella presenza americana è un elemento di bilanciamento per le ambizioni egemoniche cinesi nell’area.

“Resteranno?” ha chiesto Brennan. “Sì, voglio dire che non abbiamo parlato di nient’altro. Forse un giorno. Voglio dire, chi lo sa. Ma sai che è molto costoso tenere truppe lì. Lo sai. Abbiamo 40mila soldati in Corea del Sud (il numero esatto è 32mila, ndr), è molto costoso. Ma non ho piani, non ho mai nemmeno discusso di rimuoverli”, ha risposto Trump – che più volte ha sottolineato il costo di certe presenze militari, chiedendo ai Paesi ospiti di pagare il conto del dispiegamento.

L’intervista dalla Corea del Nord è passata alla Cina, perché i due dossier possono essere intrecciati – quello coreano è un argomento del macro-tema cinese, potenza con cui gli Stati Uniti hanno ingaggiato un confronto globale. La diplomazia americana sta lavorando all’incontro con Kim anche nell’ottica di un secondo, e più importante, meeting: quello che Trump potrebbe avere con Xi Jinping. Secondo quanto scritto dal South China Morning Post – quotidiano di Hong Kong di proprietà del miliardario cinese Jack Ma, non lontano dal governo di Pechino, e sempre molto bene informato – gli uffici dei due leader stanno pensando a un faccia a faccia da tenersi a Danang, in Vietnam (luogo che probabilmente ospiterà anche il vertice con Kim: il Scmp scrive che le date in discussione sono il 27 o il 28 febbraio, e a quel punto sarebbero le stesse del meeting col nordcoreano).

La giornalista della CBS ha chiesto a Trump se c’era ancora la possibilità di sfruttare la Cina per arrivare a chiudere un accordo formale col Nord, come aveva detto mesi fa lo stesso Presidente. Trump ha spiegato: la Cina sta pagando il prezzo delle tariffe commerciali, e vuole “un buon affare” con gli Stati Uniti. E poi, ha aggiunto, le nostre sanzioni severe hanno impedito ai cinesi di tenere in vita l’economia nordcoreana, spingendola al dialogo, “sono stati molti utili” i cinesi.

“Posso dirvi questo – ha continuato Trump – nessuno dei leader di questi due Paesi è mai stato così vicino come io lo sono a Xi. Abbiamo delle buone chance di fare un accordo, non dico che lo faremo, ma abbiamo buone chance. E se lo faremo sarà un vero affare”. Nei giorni scorsi si è concluso, apparentemente con esiti positivi, l’ultimo round dei negoziati sul commercio che ha portato i delegati cinesi a Washington. Il piano commerciale è uno sfogo dello scontro tra Cina e Stati Uniti, ma è anche il punto di contatto. Il dossier nordcoreano è invece un tema in cui sperimentare forme di cooperazione che potrebbero avvicinare i due Paesi.

 

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