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Passare dagli attuali 67 anni a 62 sarebbe uno choc difficile da superare, specialmente per un Paese dai conti pubblici ancora traballanti e con un mercato del lavoro anemico. Molto meglio, è l’ipotesi al vaglio dello staff del ministro Giovanni Tria, provare con una combinazione più morbida, 64+36. Il tutto rivolto a una potenziale platea di 400 mila lavoratori. Qual è la scelta migliore? Attaccare l’attuale sistema pensionistico alle fondamenta o provare una soluzione più soft?

Formiche.net ha chiesto il parere di Mauro Marè, docente ed economista esperto di previdenza e autore di diversi saggi in materia e presidente di Mefop, società attiva nei fondi pensione e partecipata dal Mef. “Facciamo un passo indietro. Io penso che la legge Fornero possa essere cambiata perché rappresenta una forma di rigidità del sistema pensionistico italiano. Questa rigidità può essere certamente ammorbidita, purché si mettano in campo soluzioni credibili e soprattutto fattibili, che non peggiorino la situazione. E qualche appunto da fare ce l’ho”, premette Marè.

“Il punto di partenza è che è sbagliato pensare di mandare la gente in pensione prima per creare lavoro. Sbagliato l’approccio, parliamo di una delle basi dell’economia, roba da terzo anno. E questo per una serie di ragioni. Tanto per cominciare il lavoro si crea con la crescita che a sua volta si crea con gli investimenti. E poi bisogna sempre considerare che il mercato del lavoro è cambiato profondamente negli ultimi anni. Prima c’era la stabilità e ora invece c’è la flessibilità, il precariato. Che cosa voglio dire? Se io mando in pensione anticipata 400 mila persone, non sta scritto da nessuna parte che poi le aziende ne assumano altrettanti. E questo perché ormai è caduta l’idea stessa di lavoro fisso. Dunque non ha senso togliere persone dal mercato senza avere la certezza che poi vengano rimpiazzate, è una sostituzione rischiosa. Ma c’è anche un altro punto che vale la pensa affrontare”.

Marè sviscera la questione pensioni anche da un punto di vista finanziario. “Chi oggi si prepara ad andare in pensione, ha pagato e sta pagando contributi regolari allo Stato. Se però queste persone vengono sostituite da persone più giovani, le quali però sono assunte a condizioni più flessibili, con contratti a termine per esempio, allora lo stesso Stato finisce per incassare meno in termini di contribuzione, perché meno mi pagano e meno pago io allo Stato e il sistema rischia di subire danni. Per essere più chiari, se tolgo 400 mila persone e ne metto dentro altre 400 mila delle quali però un terzo sono precari, è ovvio che l’Inps finisce con l’incassare meno. Dunque, a monte di tutto il ragionamento sulle pensioni, c’è anche un problema finanziario, oltre che rappresentare un boomerang per gli stessi giovani che con il loro lavoro, spesso flessibile, si ritroverebbero a finanziare la pensione anticipata di migliaia di persone”.

Va bene, il punto di vista è chiaro, anzi chiarissimo. Ma sarà davvero difficile che il governo non metta mano alla previdenza in questa manovra, se non altro ne aprirà il cantiere. Dunque, nolenti o volenti, la Fornero così come la conosciamo oggi è destinata a mutare. “Indubbiamente non ho dubbi, tra le soluzioni in campo è molto meglio quella a 64 anni, che rappresenta certamente un segnale di ammorbidimento importante, concreto. Questo sarebbe fattibile ma 62 anni proprio no, troppo presto e troppo in controtendenza rispetto alle statistiche sulla speranza di vita. Tuttavia, anche qui e anche alla luce delle considerazioni fatte prima, lo possiamo fare? Meglio ancora, ci sono i soldi?”

“Voglio essere chiaro, io sono per la linea Tria (deficit all’1,6%, ndr), perché col deficit non c’è da scherzare. E allora, ammorbidire la Fornero si può fare oppure no? Questo ce lo deve dire il Ragioniere generale non certo io. E naturalmente il ministro, giovedì prossimo nel Def. La soluzione potrebbe essere un compromesso tra le altre poste, flat tax, pace fiscale e reddito di cittadinanza”.

Proprio su quest’ultima voce, Marè ha dei dubbi. “Dipende come viene fatto, impostato, negli altri Paesi è stato sperimentato. Ma in Italia abbiamo molto sommerso, non vorrei che poi il reddito di cittadinanza possa essere incassato e nascosto, diciamo evaso, con lo Stato che mette in campo una misura a sostegno della povertà e in favore dell’inclusione, senza tuttavia beneficiarne in alcun modo. Credo sia molto meglio aspettare il Def. Manca poco”.

Cari Salvini e Di Maio, attenti alle bucce di banana sulle pensioni. Parla Marè

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