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Il Pd non ha ancora messo a fuoco l’obiettivo. Questione di lenti o, come accade ai pugili dopo un round terribile, di perdita delle dimensioni. Il tema sembra essere il congresso, oppure se essere renziani o contro Renzi, o quanta lotta alla diseguaglianza bisogna mettere nel nuovo programma fondamentale. Se quel pugile si mettesse un po’ di ghiaccio in testa o quelle lenti fossero cambiate si vedrebbe tutt’altro spettacolo.
In questo momento il destino del Pd è irrilevante. Il problema è se la sua esistenza può aiutare un fronte anti-sovranista oppure le sue divisioni, e spesso i suoi cedimenti culturali al populismo, possano facilitare le destre estreme italiane.

Queste destre hanno una caratteristica. Sono collegate internazionalmente. Quando lo fecero, posso anche dire senza vergogna, quando lo facemmo noi comunisti avevamo contro non solo i fascisti, ma soprattutto l’America, la Francia e la Gran Bretagna. I sovranisti e i populisti di oggi hanno invece con loro Russia e Usa, Orban e Le Pen e persino un gruppo di cardinali che odia Papa Francesco. È evidente che non puoi combattere questo rassemblement mondiale con le cerbottane, ma devi in primo luogo scegliere i tempi e il modo del combattimento.

I tempi sono dettati dalle scadenze istituzionali. E queste dicono elezioni europee. I modi sono determinati da come pensi di condurre questa battaglia. La puoi condurre come una battaglia di politica interna italiana con una spruzzatina di Europa. La puoi condurre criticando l’Europa in modo più elegante di Salvini (non è impresa impossibile essere più eleganti di Salvini!). Puoi invece assumere l’orizzonte europeo come tuo Dna. Un orizzonte di un’Europa federale, come suggerisce oggi in una intervista a La Repubblica Pierferdinando Casini. Capisco che detta così sembra una cosa da matti e da perdenti disperati. Invece il ragionamento ci porta altrove.

Abbiamo in Europa e anche in Italia una pubblica opinione anti-immigrati e per questa via anti-europea. Ogni volta che il tema europeo è entrato in meccanismi di altro genere (uscire dall’euro, rinunciare ai vantaggi che l’Unione ti dà), i sovranisti si sono ritirati.

L’Europa se presentata retoricamente è un cane morto. Se presentata come modalità dello stare assieme proprio nell’epoca del criticato mondialismo e dello stare assieme lasciando agli stati nazionali spazi propri nello stesso tempo in cui cedono sovranità è invece cosa viva.Che senso avrebbe una campagna europea senza l’Europa o vergognandosi dell’Europa? Che senso avrebbe una campagna in cui si rinuncia a dire con brutalità che cosa saremmo stati e che cosa diventeremmo senza l’Europa? Per questa nuova Europa servono uomini e donne di dialogo non squadristi.

Questo “virilismo” da social funziona quando si tratta di chiamare alle armi contro gli immigrati, funziona meno quando si spiega agli industriale del Nord est così come ai meridionali che se l’Europa muore noi siamo alla canna del gas. Il tema dell’immigrazione va poi tolto dalla retorica sia del rifiuto cinico sia dell’accettazione passiva. Gli italiani sanno che tutte le esperienze finora sperimentate sono pressocché fallite e anche quelle più severe hanno comportato un prezzo in vite umane e in civiltà molto alto. I sovranisti vogliono l’Europa che condivide i migranti. La loro Europa lascia sola invece l’Italia ben più di oggi.

La campagna elettorale non deve cedere di un passo sui temi di civiltà e di solidarietà, ma deve dare l’idea di una forza europeista che sa ottenere risultati. L’Italia europea che dobbiamo presentare discute alla pari con i grandi, non perde tempo con l’Ungheria.

Ecco perché se in chiave interna la formula del Fronte repubblicano lascia molti dubbi, nella dimensione della battaglia europea un gruppo di forze liberate dalla loro storia partitica che si presentasse come europeista potrebbero mettere nell’angolo Salvini e l’esitante Di Maio.

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