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Il voto di ieri al Parlamento britannico ha messo in evidenza una serie di elementi. Il primo è che, se non si è una potenza imperiale (la Gran Bretagna non lo è più; e illudersi di poter tornare ad esserlo è pura follia nel mondo di oggi), il mito del recupero della sovranità nazionale è una grande sciocchezza.

Nessuno può far da solo. Nemmeno la Cina, che infatti si accaparra da anni le risorse dell’Africa per assicurarsi la sopravvivenza nel tempo e promuove una nuova Via della Seta per dare un mercato di sbocco alle proprie produzioni. Nemmeno gli Stati Uniti, che mentre parlano di costruire il muro col Messico o fanno la guerra commerciale al resto del mondo sono costretti a rilanciare l’integrazione del Nafta col Messico stesso ed a cercare nuovi alleati coi quali promuovere accordi di libero scambio. E stiamo parlando di potenze imperiali!

L’interdipendenza che caratterizza in maniera crescente un mondo sempre più piccolo e affollato non può essere risolta col modello tribale: chiusura, muri, frontiere. Ma con un modello di carattere federale, che è l’unico ad oggi noto per assicurare la compatibilità fra l’esercizio decentrato delle prerogative di ciascun gruppo con l’esercizio condiviso della sovranità in tutti quei settori dove esistono risorse collettive da difendere (pace, cambiamenti climatici, stabilità del sistema economico e monetario internazionale, giustizia sociale, etc).

La seconda lezione da trarre dalle vicende della Brexit è che le grandi scelte strategiche di un paese non possono essere lasciate agli umori dei popoli, sottoposti ad influenze di lobby, media manipolati da ideologie ed interessi, spesso senza gli strumenti culturali per comprendere la complessità delle grandi scelte. Ricorrere al referendum è stata una sciocchezza. E tornare al voto per sanare quella sciocchezza sarebbe ancora più aberrante.

Una terza lezione suggerisce che non si possano però ignorare nemmeno quelle motivazioni più serie che alcuni cittadini inglesi hanno mosso contro  la UE, e che hanno indotto qualcuno a votare contro: la legittimità democratica dei processi decisionali. La democrazia inglese non concepisce come si possa non avere il controllo sulla elezione e rielezione (o meno) dei propri rappresentanti politici, chiamati ad effettuare le scelte al posto dei propri cittadini-elettori. Un principio che, in ambito fiscale, viene ricondotto al motto: “no taxation without representation”: ossia, non si possono compiere scelte (impositive) sui cittadini se non si è espressamente delegati a farlo da loro, se non esiste un pieno controllo democratico nel processo politico. E invece le grandi decisioni nella UE non passano per il Parlamento Europeo (dove siedono i rappresentanti eletti dai cittadini), ma per il Consiglio (dove siedono i rappresentanti dei governi, che decidono solitamente all’unanimità, quindi in assenza di un meccanismo democratico di scelta collettiva). In questo modo l’unica difesa dei diritti di una minoranza passa per l’esercizio del diritto di veto, che però blocca il funzionamento complessivo del sistema, ed in ultima analisi impedisce di spostarsi dallo status quo. Infatti la Ue, negli ultimi decenni, nonostante crisi di ogni tipo e natura, non ha fatto un solo passo avanti nel processo d’integrazione. Dimenticare che con il loro voto i  cittadini di Sua Maestà hanno voluto, anche, sottolineare questa contraddizione nelle istituzioni e nei meccanismi decisionali della UE sarebbe un errore per il futuro dell’Unione: dovrebbe essere un monito a chi rimane per cambiare, urgentemente, questa situazione anomala.

La verità è che la Gran Bretagna si è cacciata in un vicolo cieco: uscire senza un accordo con la UE avrebbe dei costi economici e sociali ancora oggi inimmaginabili; rimanere significherebbe mandare a monte il verdetto popolare, il che si presterebbe a strumentalizzazioni elettorali gigantesche; rimettere la decisione in mano ancora una volta ai cittadini per vedere se hanno cambiato idea sarebbe ridicolo e nuovamente rischioso (anche se probabilmente sarà la decisione più realistica per limitare i danni).

Le incognite sono innumerevoli, e dopo oltre due anni sono sempre le stesse: ci sarà davvero una Brexit? Che caratteristiche avrà? Se le verrà dato un più ampio margine di tempo, voterà la Gran Bretagna per il prossimo Parlamento Europeo e per i nuovi assetti istituzionali della UE? Come evitare, nel caso in cui decida di annullare l’uscita dalla UE, che la Gran Bretagna diventi un fattore di ulteriore ostacolo e blocco a qualsiasi riforma dell’Unione Europea?

Qualsiasi sia l’esito finale, la Gran Bretagna ha mostrato come tornare indietro nell’orologio della storia sia un’incognita ed un rischio che possono avere effetti devastanti. Per quanto faticoso, complesso, difficile, pieno d’insidie, si può solo andare avanti. E andare avanti, nel percorso d’integrazione europea, significa solo una cosa: costruire una genuina democrazia sovranazionale.

Il vicolo cieco

Il voto di ieri al Parlamento britannico ha messo in evidenza una serie di elementi. Il primo è che, se non si è una potenza imperiale (la Gran Bretagna non lo è più; e illudersi di poter tornare ad esserlo è pura follia nel mondo di oggi), il mito del recupero della sovranità nazionale è una grande sciocchezza. Nessuno può…

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