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Sussulti politici, e di conseguenza anche economici, in questa fase erano da aspettarseli. E le vicende della cronaca politica italiana ce ne hanno dato in questi giorni, e temo che ce ne daranno in futuro, ampia testimonianza. Siamo in un periodo di transizione, non solo in Italia, da un vecchio assetto di potere ad uno completamente nuovo che non si propone semplicemente, come è sempre avvenuto nelle democrazie, di sostituirsi al precedente, ma vuole più radicalmente operare mutamenti di struttura o di sistema rilevanti nella nostra politica e nella società. Quali siano questi cambiamenti non sempre è chiaro fino in fondo, forse nemmeno ai protagonisti, ma per questa parte sarà la storia come sempre a dire la sua, a formare cioè col concorso degli uomini nuove idee e a solidificare nuovi blocchi di potere e nuove classi dirigenti.

Se le cose stanno in questo modo, e tanti elementi, ripeto non solo in Italia, lasciano immaginarlo, credo che sia vano gridare all’invasione dei barbari e fare resistenza pensando che prima o poi, passata la buriana, si tornerà ai bei tempi andati. Quei tempi più non ritorneranno. Prendiamo ad esempio i contrastati, a dir poco, rapporti fra il governo gialloverde e l’Unione europea. Agli attacchi del primo sono seguite le minacce e anche gli insulti della seconda. Tutti hanno fatto la voce grossa, ma l’impressione è che a fronteggiarsi siano per ora due debolezze: quella del nostro governo senza dubbio che, pur forte del consenso interno, manca finora di una rete di alleanze serie all’esterno che possa rendere meno velleitario il suo battere i pugni sul tavolo; quella dell’Unione che, nella situazione in cui versa, non potrebbe certo permettersi di alzare il tono di voce. Non si tratta solamente del fatto, in questo secondo caso, che le elezioni europee si avvicinano e i rapporti di forza a brevissimo muteranno. Si tratta anche che già allo stato attuale l’Unione non ha più la forza e credibilità politica per imporre alcunché: le divisioni interne fra i paesi che la costituiscono sono vere e proprie fratture; un grande paese come la Gran Bretagna si è tirato fuori; il consenso al progetto comunitario e fra gli europei ai minimi storici; i leader dell’asse storico franco-tedesco si sono a dir poco indeboliti al loro interno e di conseguenza all’esterno; ecc. ecc.

In una situazione del genere non si può far finta di nulla, o chiedere addirittura “più Europa”, come fanno le burocrazie e le élite europee: bisognerebbe quanto meno chinarsi a raccogliere i cocci di tante rotture e chiedersi come si sia arrivati fin dove si è arrivati. Ma se il progetto razionalistico novecentesco che si chiama Unione europea versa in una crisi a mio avviso senza ritorno, lo stesso vale per quegli ideali o ideologie che hanno fatto da sfondo alla lotta politica nel secolo scorso. Anche qui pensare che sia possibile ripristinare il passato, mi sembra alquanto irrealistico. Nella vecchia ottica di destra e sinistra siamo costretti a osservare, come faceva ieri Luca Ricolfi su “Il Messaggero, che esistono almeno due sinistre: quella globalista e liberal e un’altra neokeynesiana e assistenzialistica. Ma in verità esistono anche due destre: quella liberale e liberista e quella sociale.

Il fatto è che con tutta probabilità il problema di tante divisioni è a monte: il periodo storico iniziato con la Rivoluzione francese e durato, fra bene e male come sempre, due secoli, è giunto al capolinea e il nuovo cleavage non passerà lungo i vecchi assi concettuali. Su quali, anche in questo caso, non è dato ancora sapere. Ma non è questo il problema: l’importante è non combattere come Don Chisciotte contro i mulini al vento! Gli esempi potrebbero continuare all’infinito. Quel che si può però dire è che avere la consapevolezza di vivere in una situazione di passaggio fra mondi diversi è doveroso. Aiuterà, fra l’altro, a rendere più lucido il nostro giudizio e ci farà anche vedere con occhi meno ideologici la realtà in atto.

Resistere ai barbari? Guardiamo ai gialloverdi senza lenti ideologiche

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