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Le nuove tensioni tra Washington e Pechino passano ancora una volta dal dominio digitale. Un memo della Casa Bianca (lato National Security Council), ottenuto in esclusiva da Demetri Sevastopulo del Financial Times, contenente informazioni di intelligence “top secret” declassificate, sostiene che Alibaba avrebbe fornito supporto tecnologico all’Esercito Popolare di Liberazione (Pla) cinese in operazioni contro obiettivi negli Stati Uniti. Il documento, circolato tra alcune agenzie federali, segnala un ventaglio di attività che spaziano dall’accesso a dati sensibili dei clienti, fino alla condivisione con i militari cinesi di conoscenze su vulnerabilità informatiche non note agli sviluppatori.

L’azienda respinge seccamente ogni accusa e parla di un tentativo politico di screditare la tecnologia cinese: “Le affermazioni presumibilmente basate sull’intelligence statunitense che è trapelata dalla tua fonte sono una completa assurdità. Questo è chiaramente un tentativo di manipolare l’opinione pubblica e diffamare Alibaba”.

Alibaba è uno dei maggiori colossi tecnologici cinesi, attivo nel commercio online, nei servizi cloud e nei pagamenti digitali. Fondata nel 1999, è diventata un’infrastruttura centrale dell’economia digitale cinese, con un ecosistema che comprende marketplace, logistica e piattaforme di AI. Il suo fondatore, Jack Ma, per anni volto globale dell’imprenditoria cinese, ha mantenuto un rapporto complesso con il Partito, avendo dovuto accettare di operare dentro i limiti politici imposti da Pechino. Dopo le sue critiche pubbliche al sistema finanziario cinese nel 2020, è stato progressivamente emarginato e il gruppo ha subito una profonda ristrutturazione sotto stretta supervisione statale.

La vicenda emersa in queste ore si inserisce in un contesto già segnato da sospetti reciproci e da una crescente assertività cinese nel cyberspazio. Da mesi l’intelligence statunitense avverte che gruppi legati a Pechino sarebbero riusciti a penetrare infrastrutture critiche americane con un livello di intrusione definito “senza precedenti”. A marzo, il Director of National Intelligence (l’ufficio che supervisiona tutte le agenzie di intelligence statunitensi) ha segnalato la campagna “Salt Typhoon”, focalizzata in particolare sulle reti di telecomunicazione, indicata come la prova della capacità cinese di preparare scenari d’interferenza in caso di escalation militare. In questo quadro, il memo accusa Alibaba di offrire servizi di cloud e intelligenza artificiale che potrebbero agevolare le forze armate dirette dal Partito Comunista Cinese, ampliando i timori sulla ben nota “fusione militare-civile” – il meccanismo con cui le autorità cinesi integrano risorse private nel settore della difesa.

La notizia è rapidamente esplosa tra i corridoi di Washington. Alcuni parlamentari, tra cui membri della commissione del Congresso dedicata al confronto strategico con la Cina, sostengono che le accuse rafforzino la necessità di ridurre l’esposizione tecnologica americana verso fornitori considerati non affidabili. Una posizione che si basa sull’idea che la legislazione cinese non garantisca alcun margine di indipendenza alle imprese quando viene richiesto accesso ai dati.

Pechino reagisce con fermezza. L’ambasciata cinese negli Stati Uniti definisce il memo una “totale distorsione dei fatti” e ribadisce che la Cina non impone alle proprie aziende di violare le leggi di altri paesi. Al tempo stesso, insiste sul rafforzamento del proprio quadro normativo sulla protezione dei dati come prova della buona fede del governo.

L’ex capo dell’unità di analisi sulla Cina della Cia, Dennis Wilder, dice al FT che l’Esercito Popolare di Liberazione conduce intrusioni quotidiane e diffuse contro infrastrutture critiche statunitensi — aeroporti, porti e nodi di trasporto utilizzati dalle forze Usa nel Pacifico e sul territorio continentale. L’obiettivo sarebbe preparare il terreno alla strategia di system destruction warfare da attuare in caso di conflitto.

La nota riservata porta la data del primo novembre, poche ore dopo l’incontro tra Donald Trump e Xi Jinping in Corea del Sud, durante il quale i due leader avevano concordato una tregua di un anno sulle restrizioni commerciali. Questo significa che all’interno dell’amministrazione statunitense la linea transazionale di Donald Trump non è completamente sostenuta, anzi c’è qualcuno che è interessato a far uscire sui giornali quali sono i problemi reali dietro all’apertura imprudente alla Cina (problemi che già esistono, chiaramente, e che secondo il concetto di de-risking occorre contenere).

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