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Un colpo al cerchio e un colpo alla botte. Ancora una volta Giovanni Tria (nella foto) ha giocato a fare l’equilibrista tra falchi e colombe, riuscendoci perfettamente.

Non era facile per il ministro dell’Economia, alla sua prima audizione parlamentare presso le commissioni Bilancio riunite, riuscire ad accontentare tutti. Chi vuole un’Italia libera dai parametri finanziari europei e chi invece è per il rispetto delle regole. Ma forse, anche stavolta, la formula vincente è stata proprio quella sfoderata in occasione dell’esordio di Tria all’Econfin, lo scorso 21 giugno. Tanto realismo, poco spazio all’immaginazione ma non per questo zero buoni propositi per un approccio diverso al problema debito/deficit pubblico, che comunque deve rimanere sotto controllo. E soprattutto uno stop deciso ai fautori, Ue in testa, della manovra correttiva da 5-9 miliardi.

Tria ha preso subito la questione per quello che era, mandando un messaggio dalla duplice lettura a Matteo Salvini e Luigi Di Maio. Si può crescere, si deve crescere, purché il prezzo del biglietto sia alla portata del Paese. Il professore di Tor Vergata, non è un mistero, è nei fatti l’anello di congiunzione tra Roma e Bruxelles, complice la stima e la fiducia che quest’ultima, e l’ultimo Ecofin ne ha dato prova, nutre verso lo stesso Tria.

Punto primo, la crescita non si discute, nella maniera più categorica. Ma a un patto. Che il Paese e le sue scelte di politica economica camminino sulle sue gambe. “Il primo obiettivo dell’intero governo è il perseguimento prioritario della crescita dell’economia in un quadro di coesione sociale all’interno di una politica di bilancio” che prevede la “continuazione della riduzione del rapporto debito Pil. Inoltre, continueremo a muoverci in una direzione per cui non vi sarà peggioramento del saldo strutturale”. I conti insomma, non verranno scardinati nel nome di una crescita cieca e senza strategia. Tutto si potrà, dovrà, fare solo ed esclusivamente se ci saranno le condizioni.

D’altronde il responsabile del Tesoro sa benissimo che sull’Italia incombe il ritorno dell’anemia, con tassi di crescita allo zero virgola. Sballare i conti sarebbe il colpo di grazia. Confindustria pochi giorni fa ha definito l’Italia come un Paese che batte la fiacca. Ci sono “rischi di una moderata revisione al ribasso per la previsione di crescita 2018. Pur in un quadro positivo, i dati recenti suggeriscono che la crescita sia continuata fino a tutto il secondo trimestre ma a un ritmo inferiore” dello stesso periodo del 2017 e “le stime interne più recenti indicano per il secondo trimestre un ritmo di crescita analogo al primo”, ha spiegato il ministro.

Fin qui il realismo di Tria, che forse a qualcuno nel governo legastellato non sarà piaciuto troppo, anche se sarebbe meglio farselo andare bene. Sarebbe però risultato riduttivo e persino pericoloso per la serenità interna del governo fermarsi al ribadire che l’Italia colpi di testa non li può davvero fare. E invece no, il titolare di Via XX Settembre ha aperto improvvisamente due piccoli fronti proprio con l’Europa.

Tanto per cominciare, le correzioni di deficit contenute nell’ultimo Def sono troppo stringenti e per questo vanno riviste. Tradotto, l’Italia è pronta a rispettare i patti e lo farà ma deve avere qualcosa in cambio, per esempio un po’ più di ossigeno sulla gestione del deficit. “L’aggiustamento nel 2019 previsto dal Def è troppo drastico e non vogliamo adottare politiche che si possono rivelare pesantemente pro cicliche qualora si rilevasse un effettivo rallentamento della crescita per effetti di variabili internazionali. Abbiamo avviato un dialogo con la Commissione europea nell’intento di fissare un obiettivo di deficit più coerente con l’obiettivo del governo di favorire crescita e occupazione. Il governo si applicherà per ottenere dalle autorità europee e da questo Parlamento lo spazio necessario per attuare i punti del governo”.

Secondo, e questa è sicuramente la presa di posizione più forte, almeno per quest’anno non ci sarà nessuna manovra correttiva sui conti, anzi casomai tre task force su welfare, fisco e investimenti. Pensare che proprio Confindustria ne ha paventata giorni fa una da nove miliardi, sposando la linea europea che da tempo chiede un intervento correttivo. Ma per Tria, ancora una volta, non è tempo di fare degli extra. Vale per la crescita ma vale anche per i conti.

 

 

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