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La comunicazione è politica essa stessa. Segue traiettorie che hanno la velocità della luce e il ritmo di uno spot pubblicitario mandato in tv. Nei b movie delle tv private. Uno spot scaccia l’altro. Così accade che il grande spottone sui vitalizi – quello con la finezza finale del brindisi con lo champagne (che racconta più di un saggio antropologico una certa subcultura del rancore) – una palingenesi che contiene insieme il valore pedagogico dell’ammonimento ai “percettori di privilegi” e il fatto concretissimo del risparmio di 43 milioni di euro da mettere a disposizione subito per gli interventi in favore del popolo, resti un po’ a bagnomaria. Almeno per tre anni.

Parrebbe, infatti, che, preoccupati dell’esito dei ricorsi dei “percettori”, evidentemente valutati non troppo campati per aria, i deputati dell’ufficio di presidenza della Camera abbiano pensato bene di trattenere tutti i 43 milioni come fondo cautelativo, per tutelarsi da ricorsi e pericolose azioni di responsabilità contabile per cui ognuno risponderebbe col proprio patrimonio. Insomma non sono disponibili proprio quei soldi che dovrebbero rappresentare il beneficio in favore di chi ha più bisogno. Lo spot si reggeva su Robin Hood che toglie ai sibariti e dà ai bisognosi. Solo che adesso quella risorsa viene accantonata da altri sibariti per mandare in onda lo spot pedagogico.

Non è finita. So che non è facile ricordare con la velocità con cui si susseguono gli spot, ma qualche anno fa (2014) il dibattito politico ruotò per settimane intorno alla dismissione degli uffici di palazzo Marini, affittati dalla Camera ad uso di studio e servizi comuni di 400 deputati. Stiamo parlando di un complesso di tre edifici posti nel cuore della Roma politica, tra piazza S. Silvestro, Via Poli e via del Tritone, ad un passo da Fontana di Trevi, che ospitava in diecimila metri quadrati trecento stanze, svariati saloni per conferenze, sale riunioni, segreterie, librerie, decine di bagni, volte affrescate, fregi marmorei. Si decise di rescindere un contratto valutato troppo oneroso secondo i canoni della spending review, con grande eco nei media e nei dibattiti parlamentari.

Basta: oggi scopriamo che tutte le suppellettili, gli arredi, gli strumenti di lavoro come computer, televisori, poltrone in pelle, scrivanie, librerie, telefoni, stampanti, fax, dimenticate o avanzate o non si capisce bene perché, sono in vendita a dieci euro al pezzo. Non si sa attraverso quali canali ma è questo che sta avvenendo. Morale della favola: sia nella prima storia (i risparmi ricavati dai vitalizi) che nella seconda (i risparmi prodotti dalla dismissione dei palazzi in affitto), l’effetto annuncio non solo non è coerente con quello che in realtà accade, ma sembra essere l’unica ragione della scelta compiuta.

Di quel che accade, infatti, si perdono le tracce. Perché, si sa, il nuovo spot scaccia via quello vecchio.

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