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Lo scorso anno, il comparto della difesa all’interno dell’Unione europea ha vissuto un importante rafforzamento con il lancio della Cooperazione strutturata permanente (Pesco) e il Fondo europeo per la difesa, finalizzato a incrementare l’efficienza nel procurement militare continentale, favorire la collaborazione in ambito di difesa tra i Paesi dell’Ue e ridurre le duplicazioni in materia di sistemi d’arma.

Nello specifico, sino al 2020, il Fondo mette a disposizione 90 milioni di euro per attività di ricerca e sviluppo (R&D) e 500 milioni di euro in totale per la realizzazione di progetti specifici. Tuttavia, a partire dal 2021, con il nuovo ciclo di budget dell’Unione, i fondi destinati alla Difesa cresceranno esponenzialmente. Nel dettaglio, 500 milioni di euro saranno destinati annualmente alla ricerca e sviluppo, mentre 1 miliardo di euro finanzierà i progetti per la produzione. Inoltre, vi è la possibilità di mobilitare ulteriori risorse per un totale di circa 5 miliardi l’anno da dedicare al procurement militare europeo congiunto.

Queste rilevanti cifre hanno il potenziale di alterare in modo permanente il teatro competitivo intraeuropeo, in cui primeggiano i maggiori produttori di piattaforme e sistemi integrati di difesa del continente. Di fatto, chi riuscirà ad aggiudicarsi delle somme importanti di finanziamenti godrà di un vantaggio di rilievo sui mercati continentali, e anche in quelli internazionali extra-Ue. Tale nuovo quadro si presenta come un meccanismo altamente proficuo in cui l’Italia dovrà immettersi nel breve periodo.

Il nostro Paese, infatti, dovrà cercare una via percorribile per salvaguardare sia la sovranità italiana sulle tecnologie più avanzate in materia di difesa, sia la consolidata collaborazione militare con gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, dato che Francia e Germania hanno creato un asse all’interno del comparto difesa europeo anche al fine di depotenziare i partner britannici e statunitensi. Non a caso, Parigi e Berlino hanno avviato un processo volto alla monopolizzazione del settore industriale europeo della difesa, tentando anche di fare assumere all’Italia un ruolo marginale. Tale operazione viene portata avanti tramite attività di lobbying a Bruxelles in sede di regolamentazione della nuova Pesco, dove cercano di penalizzare le aziende come Leonardo, che hanno stabilimenti in Gran Bretagna e negli Stati Uniti, per impedire che possano ottenere finanziamenti Ue per programmi militari che vedano il coinvolgimento dei suddetti impianti.

Viste le posizioni assunte dai vicini Paesi europei, l’Italia deve puntare alla creazione di una cooperazione industriale rafforzata a livello europeo che metta il nostro Paese sullo stesso piano di Francia e Germania negli specifici progetti di interesse. In tal senso, diviene fondamentale effettuare delle scelte che identifichino i settori più promettenti su cui puntare ad avere la leadership a livello dell’Unione, e garantire loro risorse e volumi produttivi tali da permettere al nostro Paese di giocarsi le proprie carte da una posizione favorevole con i partner Ue grazie alla generazione di economie di scala e di specializzazione sostenibili nel tempo. A questo proposito la joint venture tra Fincantieri e Naval Group nel campo navale militare può essere vista come un esempio virtuoso.

Tuttavia, escluso questo esempio rimarchevole, lo scenario attuale vede una difficoltà strutturale del nostro Paese nel finanziare i programmi della difesa, che si riverbera fortemente sul campione industriale nazionale, Leonardo. L’azienda, infatti, è reduce da un triennio di ristrutturazione che puntava a logiche di breve periodo volte ad abbellire il bilancio e ad alzare il prezzo delle azioni sacrificando gli investimenti a lungo termine. Di conseguenza, Leonardo è in una posizione di difficoltà rispetto ad Airbus e BaeSystems ed è entrata nel mirino di Parigi che mira a sfruttare questa debolezza tecnologica e di prodotto a vantaggio principalmente di Airbus e Thales. Non a caso, la Francia sta portando avanti una operazione di influenza che, attraverso la retorica positiva dell’integrazione europea, punta a generare nei policy maker italiani un atteggiamento favorevole a uno spezzatino della più grande industria della difesa italiana. Lo scopo ultimo di questo piano è acquisire le migliori divisioni di Leonardo e quindi eliminare un importante competitor sui mercati europei e mediorientali.

Il prossimo biennio, dunque, si avvia a essere fondamentale per l’industria della difesa nazionale e la sfida in tale settore resta aperta per il nuovo governo, il quale dovrà stabilire una cooperazione industriale rafforzata all’interno dell’Unione europea che ponga Roma sullo stesso piano di Parigi e Berlino, ma che mantenga libertà d’azione per Leonardo per poter continuare a coltivare i legami industriali bilaterali con Stati Uniti e Gran Bretagna.

Difesa europea, come schivare la trappola franco-tedesca

Di Guido Crosetto

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