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Un conto è la commemorazione, un altro la memoria. L’annuale cerimonia di Palermo in ricordo della strage di Capaci del 23 maggio 1992 con la morte di Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca Morvillo e di tre agenti della scorta da anni si differenzia da altre commemorazioni per la presenza di tanti ragazzi che arrivano sulla “nave della legalità”. Giovanissimi che non erano nati quando i tg trasmisero la notizia dell’attentato (Internet non c’era ancora) né hanno vissuto le ore tragiche seguenti e l’elezione di Oscar Luigi Scalfaro alla presidenza della Repubblica due giorni dopo. A malapena avranno sentito parlare dei processi a Giulio Andreotti, non hanno letto le migliaia di articoli che raccontavano di una società e di una politica dilaniate; solo più recentemente, se amano informarsi, possono aver seguito i processi e le ulteriori polemiche sulla trattativa Stato-mafia. Ascoltare chi ne sa più di loro servirà a capire che cosa accadde quel 23 maggio e il 19 luglio successivo, quando uccisero Paolo Borsellino e cinque agenti della sua scorta.

Solo chi abita in Sicilia, Calabria, Puglia e Campania ha una percezione quotidiana del problema mafie che pure si sono infiltrate in tutta Italia, dal nord alle ricostruzioni post terremoti, usando spesso la corruzione. Cosa nostra è in difficoltà e si stringe sempre di più il cerchio intorno all’ultimo grande latitante, Matteo Messina Denaro; la camorra non ha più vertici chiari, aumentando così la pericolosità per le guerre intestine; la struttura della ‘ndrangheta e la collaborazione tra ‘ndrine di per sé autonome rende più complicata l’azione repressiva; la criminalità pugliese sta creando problemi, tanto che Polizia e Carabinieri hanno aumentato la presenza nella regione.

È vero che la lotta al terrorismo internazionale raccoglie successi anche perché gli investigatori italiani sono cresciuti combattendo il terrorismo degli anni di piombo e le mafie, con arresti eccellenti come Totò Riina, Bernardo Provenzano o Michele Zagaria, ma è altrettanto vero che questa lotta continua ogni giorno perché la criminalità organizzata ha ancora radici profonde e da tanti anni si nasconde dietro ai “colletti bianchi”, agli insospettabili. Spiegare ai ragazzi quello che è successo serve a raccontare una realtà che oggi quasi mai è sulle prime pagine dei giornali o nelle aperture dei telegiornali come 20 o 30 anni fa perché lo Stato ha dimostrato di essere più forte e unito di allora, ma certo non è scomparsa: le minacce di morte a magistrati e giornalisti sono lì a dimostrarlo. Ecco perché è indispensabile la memoria quotidiana, tra una commemorazione e l’altra.

Giovanni Falcone nella memoria quotidiana. Perché i giovani sappiano che cosa sono le mafie

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