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“Non conosco una via infallibile per il successo, ma una per l’insuccesso sicuro: voler accontentare tutti” diceva Platone e oggi tale pensiero può sintetizzare in maniera esemplare questi lunghi sessanta e più giorni di “sede vacante” all’interno di Palazzo Chigi. Una mancanza sentita, più per la stampa e per i mercati che per la popolazione, che conferma la grande crisi politico istituzionale e mette in risalto anche una crisi umana, antropologica ma anche psicologica: non avere gli strumenti per capire la realtà o credere con una nuova forma di hybris di poter cambiare il mondo.

Per descrivere al meglio questa krisis prendo in prestito le parole di Carlo Emilio Gadda che diceva: “Il mio gran male è stato sempre e sarà sempre uno: quello di desiderare e sognare, invece di volere e fare”. Una riflessione quella dello scrittore che evidenzia una testimonianza secolare di uno Zeitgeist ripetuto nelle azioni, tra disordine e ordine, tra monarchia e dittatura, tra sudditanza e sottomissione, e che ora delinea ancora una volta in questo momento storico una fotografia nel pensiero comunitario peninsulare: il crollo retorico del decisionismo e la rinascita della consapevolezza concorde dell’armonia dialettica tra le parti. Un passaggio fondamentale se vogliamo ricordare la superbia renziana o l’onnipotenza grillina che nel corso dei tempi è scemata in un costante megafono mediatico propagandistico.

A differenza dei colleghi spagnoli, francesi e tedeschi in cui la dissociazione politica ha sfociato in una dicotomia contenutistica e programmatica all’interno dei partiti tradizionali con soluzioni alternativamente inedite e strategiche (la nascita di En Marche con Emmanuel Macron e la riconferma a pieno titolo di Angela Merkel), in Italia tale fenomeno non è avvenuto anzi, le forze che si rispecchiavano nelle formule del conservatorismo e del socialismo europeo sono state appiattite e ridotte a puri interlocutori di secondo piano.

Un fenomeno nuovo sotto il cielo di Roma che oggi mette in evidenza una crisi partitica ben diversa da quella europea (flessioni delle grandi coalizioni a favore delle forze antisistema): parliamo infatti di un passaggio culturale che pone sullo stesso piano valoriale un’intesa tra due forze che fino ad un anno fa erano considerate “estreme” sia di vedute che di posizionamento e che oggi con la loro “asse” aprono una profonda riflessione sul sistema ideologico italiano racchiuso nello schema destra e sinistra e centro.

Se riprendiamo le etichette tradizionali tale fenomenologia ricade perfettamente in un passato storico di altra generazione ossia in una sorta di “compromesso storico in salsa greca” (fenomeno simile con l’ultimo governo greco di Tsipras) che rispecchia alternativamente un’alleanza nazional-progressista come quella di Lega e M5S come un Giano bifronte e multiforme nei confronti della gestione dei rapporti di forza all’interno della propria area: una sorta di balena nazionale di matrice socialista in un mainstream culturale targato “honestà”.

Alla base di tale fenomenologia troviamo una rivoluzione sociologica che ha costruito un tessuto di consensi e quindi politico su un deficit democratico e di rappresentatività all’interno delle enclave tradizionali.

Se infatti da un lato la Lega ha distrutto ogni barriera concettuale all’interno del centro destra nazionale (anche i moderati e la media borghesia ormai votano Lega e i dati lo dimostrano) si evidenzia come il ruolo sempre più marginale di Forza Italia e rispettivamente del Partito Democratico abbia ampliato quel vulnus politico all’interno delle rispettive aree di influenza, creando un vuoto sia a livello mediatico sia contenutistico.

Caso diverso si registra nel movimento di Beppe Grillo. Il decisionismo imposto e la mancanza di un’agorà valoriale comune, dovutasi creare da un tessuto culturale territoriale e comunitario ha fatto sì che la forza targata 5 stelle non abbia reagito all’urto dialettico delle parti, rimanendo così alla mercé degli altri, restando più volte paradossalmente muti e concordi di essere una mission politica e non una vision per il sistema Paese.

A tale fenomenologia quindi i partiti di Governo, vista la grande flessione e l’immobilismo del loro elettorato hanno preferito aprire una stagione di discussione interna che abbia come effetto quello di far trasparire una forza endogena in grado di sopportare l’urto elettorale regionale targato Lega-M5S.

Tutto questo ha portato oggi ad avvalorare un effetto Lega che rappresenta un segnale, non più di protesta, ma di visione che si basa su una nuova forma di conservatorismo, di stampo sociale e allo stesso tempo di ispirazione nord est europea in cui i principi d’identità nazionale e di solidarietà comunitaria rappresentano un forte imprinting nell’immaginario collettivo.

Un panorama che oggi pone su un piano metapolitico la necessità della ricostruzione di una coscienza critica da parte delle forze tradizionali, riconsiderando il loro posizionamento e la loro narrativa in un contesto economico mutato e globale, in cui etichettature di matrice novecentesca non hanno più appeal e rischiano solo di essere anacronistiche alla luce di nuove identità partitiche.

Paradossale l’idea di riesumare vecchi schemi di transizione politica, oggi la necessità di una propulsione politica di natura liberal democratica o liberal conservatore apre la possibilità di costruire nuovi contenitori cuscinetti che possano inizialmente essere parte aggregante e testimonianza delle culture partitiche ora in via di ridefinizione e domani essere la nuova linfa per riequilibrare il sistema partitico via via definendosi, una sorta quindi di nuovi Ciudadanos o di En marche in salsa italiana che possano interpretare inizialmente una mission fondamentale in questo periodo: il futuro dell’Ue.

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