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Sarà pure un working progress, ma le prime indiscrezioni (benché successivamente smentite) della cucina Lega-5 Stelle lasciano tutt’altro che tranquilli. Il disegno che si intravede in filigrana è di quelli che preoccupa per una sua sorta di perversa coerenza. Iniziamo dagli aspetti istituzionali. La prima perla è il cosiddetto “Comitato di conciliazione”. Una sorta di Triunvirato che ricorda quello dell’antica Roma tra Giulio Cesare, Licinio Grasso e Pompeo Magno. Sarà presidiato dal Presidente del consiglio “terzo” e dai due leader della nuova compagine governativa, occasionalmente allargato ad altri esponenti dell’esecutivo. Il suo compito? Dirimere le eventuali controversie, considerato che non è possibile prevedere tutto nel cosiddetto “contratto alla tedesca”. La realtà, per fortuna, è destinata a superare qualsiasi immaginazione, come mostra la sfortunata storia dei vari piani quinquennali.

Si poteva scegliere un altro nome. Nel sistema Westminster, il Gabinetto è costituito solo dai ministri più importanti. Una sede ristretta, ma troppo ampia per i propositi dell’ancora ipotetica maggioranza parlamentare, in cui assumere, con la necessaria tempestività, le necessarie decisioni. La denominazione assunta evoca, invece, “Comitati di salute pubblica” che si pongono in oggettivo contrasto con il principio della responsabilità collegiale prevista, per i membri del governo, dall’articolo 95 della Costituzione. Uno scorcio inquietante che fa da pendant alle critiche, più volte avanzate, alla democrazia parlamentare e che riflette in qualche modo uno dei dettati del “non statuto” dei 5 Stelle. Quello secondo il quale le decisioni più importanti degli organismi rappresentativi dovevano essere preventivamente sottoposte alla valutazione degli esperti della Casaleggio Associati.

Il volto grintoso dello Stato risulta rimarcato nei propositi relativi alla stretta sulla giustizia: più tribunali, più pene, più carceri. Le tesi sono quelle del giustizialismo più spinto: riforma della prescrizione, legislazione anticorruzione ricorrendo anche agli “agenti provocatori”, dilatazione dell’uso delle intercettazioni, estensione della disciplina riguardante il “conflitto d’interesse” a soggetti che finora sono stati esclusi. Manette, infine, per gli evasori. Se non siamo alla militarizzazione della società italiana, poco ci manca.

Ma è la parte economica che desta le maggiori preoccupazioni, non solo in Italia. La dura presa posizione di alcuni esponenti europei, così lontane dal normale fair play diplomatico, ne è la dimostrazione. Il sassolino destinato a provocare la valanga riguarda l’euro. Non più moneta irreversibile, ma semplice accidente della storia, che si può facilmente superare. Ed ecco allora spuntare la clausola dell’”opt out”: quella della rinuncia concordata. Dovrebbe consentire di uscire dal club monetario, ma rimanere nell’Unione europea. Presenza tanto più necessaria, visto che il 20 per cento della dotazione complessiva del Fondo sociale europeo dovrebbe servire per istituire il reddito di cittadinanza anche in Italia. Della serie: prendi i soldi e scappa.

La cosa che forse ha fatto irritare maggiormente i tecnici di Bruxelles riguarda tuttavia il destino dei 250 miliardi di euro che la Bce ha investito nell’acquisto dei titoli italiani, nell’ambito delle procedure del “quantitative easing”. Andrebbero cancellati con un tratto di penna. Una sorta di moratoria, come fu quella degli anni passati che riguardava i Paesi sottosviluppati. Questa mossa dovrebbe comportare, secondo gli estensori della bozza, una riduzione del debito italiano pari a circa il 10 per cento del suo valore. Proposta quasi indecente: considerate le regole europee.

Dal 2013, infatti, tutte le emissioni dei titoli di stato sono soggette alle cosiddette clausole di azioni collettive. L’eventuale rimborso con moneta svalutata (il destino inevitabile del ventilato ritorno alla lira) potrà avvenire solo con l’accordo del 75 per cento dei creditori. Altrimenti si dovrà procedere rivalutando il loro valore facciale per tener conto dell’intervenuta svalutazione. Diritto al quale, per esplicita ammissione dello stesso Draghi, la Bce non intende rinunciare. Immaginiamoci allora quale accoglienza possa avere la richiesta di moratoria. La verità è che si sta giocando con il fuoco. E le fiamme (come mostra l’andamento della borsa, con una caduta pari a circa il 2 per cento e crescita degli spread, mentre stiamo scrivendo) possono bruciare.

C’è poi il tema dei Trattati e del Fiscal compact. Secondo la bozza, è “necessaria” una loro “ridiscussione”. Il Fiscal compact “va modificato radicalmente” a partire dai vincoli “stringenti, infondati, insostenibili dal punto di vista economico e sociale”. Alta acrobazia verbale. L’aspetto più inquietante di queste affermazioni è la leggerezza, che rischia di mandare in vacca una riflessione seria e necessaria sugli scarsi risultati conseguiti da quella regola. Esigenza tutt’altro che eversiva, visto che questa procedura è prevista dall’articolo 16 del Trattato istitutivo. Sennonché esercitarsi su temi così complessi con l’atteggiamento degli apprendisti stregoni è recare un danno inimmaginabili, che rischia di alzare un muro invalicabile da parte degli altri partner comunitari.

Specie se si sa leggere tra le righe della politica estera che si propone. Al di là delle affermazioni di rito sulla fedeltà atlantica, si ipotizza “un’apertura alla Russia, da percepirsi non come una minaccia, ma quale partner economico e commerciale”. Da cui si fa discendere l’opportunità di un “ritiro immediato delle sanzioni” considerato che Mosca debba essere considerata un “interlocutore strategico” nelle aree di crisi del Mediterraneo. Come se il recente intervento di Stati Uniti, Francia ed Inghilterra contro le postazioni siriane, a caccia delle ventilate arme chimiche, non fosse mai avvenuto.

Attenuata, infine, la richiesta di giungere alla soppressione della Legge Fornero. Per le pensioni si propone quota 100, con 41 anni di anzianità contributiva e quindi la possibilità di uscire a 60 anni scarsi dal mondo del lavoro. E taglio delle cosiddette pensioni d’oro. Che secondo la successiva precisazione da parte degli stessi 5 Stelle sono collocate oltre i 5mila euro mensili netti. Nei confronti di questi presunti paperoni non dovrebbero valere i benefici della flat tax, di cui non si precisano i contorni. La livella, per riprendere Totò, è posta al netto. Prescinde cioè dall’entità del carico fiscale. Il piccolo o grande esproprio – viste le numerose sentenze della Corte costituzionale che ne hanno decretato l’intangibilità, salvo casi eccezionali ed irripetibili – dovrebbe riguardare dirigenti pubblici e privati, professionisti, quadri del mondo delle imprese, magistrati e via dicendo. Insomma: un’intera classe dirigente colpevole di non aver l’età di Luigi Di Maio. Ma la rivoluzione, si sa, richiede vittime innocenti. E quella promessa dalla nuova ipotetica maggioranza parlamentare non vuole fare eccezioni.

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