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Il generale Khalifa Haftar non è morto com’era stato ipotizzato nei giorni scorsi ed è tornato a Bengasi, ma forse non si sente tanto bene se, come riportano alcune cronache, potrebbe cedere la guida delle sue forze armate al suo vice. In un equilibrio perennemente instabile come quello libico è impossibile avventurarsi in previsioni: l’unica certezza è una grande confusione politica come somma di tante debolezze nessuna delle quali riesce a trasformarsi in una forza definitiva. Il generale resta comunque uno dei protagonisti con cui fare i conti e con il quale tessere la tela diplomatica.

Se spostiamo lo sguardo sull’Italia, che ha un certo interesse su quello che avviene sull’altro lato del Mediterraneo, sono due i grandi temi che interessano i cittadini: l’economia, con quel che ne consegue sull’occupazione, e l’immigrazione, con quel che ne consegue sulla sicurezza. Eppure, si assiste a un confuso e sterile dibattito nel tentativo di formare un governo senza che i protagonisti entrino nel merito di quei due temi salvo continue dichiarazioni stile “copia e incolla” da divulgare attraverso i telegiornali e i tweet. Limitandoci al tema dell’immigrazione, nessuno dei leader sta minimamente accennando a qualcosa di concreto dal giorno successivo alle elezioni. Nessuno parla di eventuali iniziative diplomatiche da intessere con le varie realtà libiche o con i Paesi che in vario modo hanno influenza su quell’area. Tanto meno sarebbe possibile ipotizzare sviluppi su questo tema nel caso di un governo tra M5S e Pd che finora hanno avuto opinioni diverse, governo che comunque sembra oggettivamente difficile realizzare. Quando Luigi Di Maio ha incontrato il presidente Sergio Mattarella gli avrebbe esposto il proprio semplice schema: Di Maio in ogni caso presidente del Consiglio, per i ministri faccia pure il Quirinale. Chissà se il Capo dello Stato ha alzato un sopracciglio, che nel suo caso equivarrebbe a un editoriale.

Dopo il 4 marzo il centrodestra (soprattutto la Lega, ma anche Forza Italia e Fratelli d’Italia) ha ripetuto che una volta al governo ci sarebbero stati meno sbarchi e più espulsioni senza mai dire “come”: stessa linea di Marco Minniti sulla Libia oppure no? Qualche iniziativa in ambito europeo? Non si sa e ci si stanca di ricordare che per espellere gli immigrati irregolari è indispensabile la disponibilità dei paesi di provenienza a riprenderseli. Al momento, sono disposti a riprendersene una minuscola quota. Federico Fubini, sul Corriere della Sera, ha descritto un documento che dovrebbe preoccupare moltissimo gli italiani: le ipotesi allo studio a Bruxelles rischiano di trasformare i Paesi del Sud (Italia, Grecia, Spagna, Cipro e Malta) in giganteschi hotspot e per questo gli stessi Paesi stanno cercando di convincere gli altri membri dell’Unione a cambiare idea. Basti dire che, nella bozza allo studio, la redistribuzione dei richiedenti asilo sarebbe esclusa per chi proviene da Paesi considerati sicuri (quindi la loro richiesta sarebbe una perdita di tempo perché sarebbe respinta), che si potrebbe chiedere aiuto al resto dell’Europa solo in caso di aumento dei flussi superiore al 160 per cento rispetto all’anno precedente e che l’aiuto sarebbe obbligatorio solo in caso di aumento del 180 per cento. Infine, un richiedente asilo che dall’Italia avesse raggiunto un altro Paese continentale potrebbe essere rimandato indietro per i 10 anni successivi con una semplice notifica. In pratica, un’apocalisse.

Il vertice del 28 e 29 giugno a Bruxelles si annuncia fondamentale. Roberto Calderoli (Lega) e Renato Brunetta (FI) sottolineano che nel Def il governo Gentiloni contabilizza 4,65 miliardi di euro per il 2018 (erano 4,36 nel 2017). Brunetta precisa che 3 miliardi servono all’accoglienza e prima assistenza mentre l’Ue ha contributo solo con 77 milioni l’anno scorso e con 80 milioni quest’anno. In vista di quel vertice, Calderoli auspica “un governo di centrodestra con gli attributi e la schiena dritta”, altrimenti “rischiamo di diventare il più grande centro di raccolta immigrati dell’Europa”. Antonio Tajani, presidente del Parlamento europeo ed esponente di primo piano di Forza Italia, diplomaticamente accenna a “qualche elemento di divisione” sulla riforma del diritto d’asilo contando che vengano risolti nel Consiglio europeo di giugno.

Qualche giorno fa la commissione Libertà civili del Parlamento europeo ha votato una modifica al regolamento sulla protezione internazionale riducendo a soli 6 mesi i tempi per valutare una domanda. Il provvedimento deve passare ora all’Europarlamento e quindi al Consiglio dell’Ue. La relatrice del provvedimento è stata Laura Ferrara del M5s che ha spiegato come l’eventuale approvazione definitiva sarebbe applicabile direttamente dagli Stati membri e abrogherebbe le leggi nazionali di attuazione “tra cui per esempio il decreto Minniti”. Le procedure più veloci, ha aggiunto, “portano a un taglio dei costi crescenti che lo Stato italiano sta affrontando per i centri di accoglienza”. Un’obiezione: accorciare i tempi di valutazione delle richieste è fondamentale, anche se occorre molto più personale, ma un immigrato non si dissolve una volta deciso rapidamente che non ha diritto all’asilo e resta in Italia perché è complicato rimpatriarlo. Non basta ridurre i tempi di valutazione se poi gli altri Paesi europei alzano le barricate contro le ricollocazioni. E torniamo al problema principale: l’Europa non ci aiuta, i Paesi di provenienza nemmeno. Se nelle prossime dichiarazioni ai telegiornali i partiti parlassero di questo, forse gli elettori capirebbero qualcosa in più.

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