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Siria e Iran, in occasione della visita del ministro della Difesa di Teheran, Amir Hatami, hanno firmato l’accordo di cooperazione militare e tecnica. Un rafforzamento, in definitiva, di quella che era già la loro pluridecennale collaborazione in ambito militare strategico, e che getta confusione in quella che sembrava poter essere invece un accordo ormai vicino tra Russia e Usa per la risoluzione della crisi siriana. Secondo quanto riferito dall’agenzia di stampa iraniana Tasnim, l’accordo è stato siglato durante l’incontro di Hatami con l’omologo siriano, Ali Abdullah Ayyoub e con il capo dello Stato Bashar al Assad. Un’intesa che prevede innanzitutto il rafforzamento della cooperazione bilaterale in campo militare: “La Siria sta superando la crisi e sta attraversando la fase di ricostruzione”, ha affermato il ministro della Difesa, aggiungendo come questo stabilisca il livello di cooperazione nel settore della difesa tra Teheran e Damasco.

Dichiarazioni che restano in bilico dopo la notizia, rilanciata dal vice ministro degli esteri russo, secondo la quale il gruppo terrorista Jabhat al-Nusra starebbe per compiere un attacco chimico “provocatorio” nell’area di Idlib. La Russia, che si dice fortemente preoccupata per l’evolversi della situazione e delle conseguenti polemiche, e ha aumentato il numero di navi di guerra presenti nel Mediterraneo orientale, ha chiesto in tal proposito una riunione urgente del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, che dovrebbe svolgersi già oggi, per discutere della questione.

L’OFFENSIVA PER RICONQUISTARE IDLIB

La Siria non smette così di essere teatro di offensive militari. Secondo quanto affermato da Ammar Abu Hassan, responsabile dell’Osservatorio unito delle milizie ribelli situate nel nord, “è stata aumentata la capacità di respingere qualsiasi aggressione del regime nella regione. Le truppe delle fazioni settentrionali sono vicine alla linea del fronte con le forze del regime nel nord della Siria liberato”.

Dunque, dopo aver riconquistato la periferia di Damasco, le forze di Assad sarebbero vicine all’organizzazione effettiva di una vasta offensiva per riconquistare Idlib. Una possibilità che mette a rischio ulteriormente la collaborazione tra Turchia, Russia e Iran. E mentre le forze di Assad hanno iniziato a concentrarsi nelle aree di Idlib che sono già sotto il suo controllo e sui suoi fianchi meridionali e orientali, non è ancora chiaro con precisione quando inizierà l’offensiva vera e propria e quale effetto avrà a livello geopolitico sull’area.

Infatti, mentre aumenta la concentrazione di navi da guerra russe e statunitensi nel Mediterraneo orientale, in merito alla possibile escalation offensiva siriana (sarebbero circa 17 le navi russe dirette in Siria che hanno attraversato il Bosforo nell’ultima settimana), il vice ministro degli esteri russo si dichiara preoccupato: “È come prima, i Caschi Bianchi realizzeranno un video, lo pubblicheranno su internet e poi inizieranno a strillare che il regime ha usato di nuovo le armi chimiche contro la sua stessa gente e tutto ciò verrà usato come pretesto per un massiccio attacco in Siria”. Ha continuato poi: “È uno scenario ovvio, siamo facendo del nostro meglio per impedire che ciò accada”.

LA NOTA DI FRANCIA, REGNO UNITO E USA

Il vice ministro russo ha poi dichiarato, alimentando la tensione polemica che non accenna a placarsi: “Gli Stati Uniti d’America e la Germania sono in grado di impedirlo (l’attacco ndr) attraverso i loro sforzi congiunti”. “Ma non sono sicuro che Washington sia pronta a contrastare seriamente questo complotto, che è provocatorio e distruttivo per i processi che stiamo osservando in Siria”, ha sottolineato Ryabkov.

Lo scorso 21 agosto la Francia, il Regno Unito e gli Stati Uniti avevano diffuso, infatti, una nota congiunta nella quale chiarivano la loro posizione in caso di attacco chimico su Idlib. E mentre la comunità internazionale si dice enormemente preoccupata per le possibili conseguenze umanitarie, rimane evidente l’attesa per gli sviluppi di una situazione che non accenna a migliorare.

IL RUOLO DEGLI USA NELL’ACCORDO

Nel frattempo gli Stati Uniti sul dossier Siria avevano cercato di trovare terreno comune con Mosca sul ruolo dell’Iran in Siria attraverso il colloquio di John Bolton, consigliere per la sicurezza nazionale, con l’omologo russo Nikolay Patrushey, il 23 agosto scorso a Ginevra: “Per quanto riguarda il Medioriente, la questione dell’Iran e della Siria sembra essere stata la più controversa. Gli Stati Uniti hanno sventolato una proposta russa sul ritiro delle forze iraniane in Siria in cambio di un ammorbidimento delle sanzioni contro Teheran”, aveva scritto il ricercatore Maxim Suchkov.

Inoltre, prima dell’incontro a Ginevra, Bolton in visita in Israele, aveva dichiarato che Putin, durante il vertice con il presidente Trump aveva espresso come “l’interesse della Russia e quello dell’Iran – suo alleato – non erano esattamente gli stessi (in Siria ndr)”. Aveva poi aggiunto: “Quindi stiamo ovviamente andando a parlare con lui su quale ruolo può giocare Mosca…Vedremo in cosa possiamo concordare noi e gli altri in termini di risoluzione del conflitto in Siria. Ma l’unico prerequisito è il ritiro di tutte le forze iraniane”.

UNA NUOVA COSTITUZIONE PER LA SIRIA

Un ponte costruito con fatica ma che sembrava abbastanza solido da reggere gli urti dell’instabilità dell’area e che vede, invece, nella firma tra Iran e Siria, un nuovo mescolamento di carte. Nonostante questo però, l’inviato Onu per la Siria, Staffan de Mistura, ha invitato i rappresentati di sette Paesi a Ginevra il prossimo 14 settembre per delle nuove consultazioni sulla formazione di una commissione costituzionale incaricata di riscrivere la costituzione siriana. Vi dovrebbero partecipare Egitto, Giordania, Arabia Saudita, Francia, Germania, Gran Bretagna e Usa.

L’annuncio è arrivato dopo l’invito rivolto a Iran, Russia e Turchia per l’undici e il dodici settembre, dopo il primo giro di consultazioni svoltosi a giugno.

TENSIONE USA-IRAN-RUSSIA ALLE STELLE

Come se non bastasse, l’Iran ha annunciato di avere il “pieno controllo” dell’accesso al Golfo e allo Stretto di Hormuz. Di fronte all’annunciato ripristino delle sanzioni Usa sul petrolio iraniano, negli ultimi mesi Teheran ha minacciato in più occasioni di bloccare il braccio di mare attraverso il quale passa via mare fino al 30% del traffico del greggio mondiale.

“Abbiamo un messaggio per i nostri vicini musulmani: come abbiamo annunciato più volte vi tendiamo la mano e crediamo che il Golfo Persico sia la nostra casa. Possiamo garantire la sicurezza del Golfo Persico e per questo non è necessaria la presenza di paesi stranieri come gli Stati Uniti la cui casa non è qui”, ha dichiarato Tangsiri nel corso di una conferenza stampa a Mashad, nel nord-ovest dell’Iran.

Una tensione culminata con l’uscita Usa dall’accordo nucleare e ripristinare le sanzioni contro la Repubblica Islamica, mirando ad azzerare le esportazioni petrolifere iraniane, ma che si aggiunge giorno per giorno di nuovi dettagli. Il ministro della Difesa iraniano, infatti, nel corso di una riunione con i comandanti del cosiddetto “Asse della Resistenza”, ha dichiarato che l’emergere del terrorismo in Siria, come in Iraq, è il risultato delle “cospirazioni” degli Stati Uniti contro la rivoluzione islamica in Iran del 1979. “Quello che è accaduto in Iraq e Siria fa parte di una serie di complotti degli americani contro la rivoluzione islamica”, aggiungendo che l’Iran in futuro “deve essere pronto a rovesciare questo genere di cospirazioni”.

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