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La difesa comune è una partita che si gioca anche, e soprattutto, a suon di regolamenti europei. In palio ci sono risorse importanti che fanno gola ai tanti comparti nazionali del Vecchio continente. Oggi, il Parlamento europeo è chiamato a un primo giudizio sulla proposta di regolamento per l’istituzione del Programma europeo di sviluppo dell’industria della difesa (Edidp), uno dei provvedimenti più dibattuti nell’ambito del progetto della difesa europea. Il rischio per l’Italia riguarda la possibilità che possano restare fuori importanti aziende nazionali attive nel settore ma controllate da proprietari esterni all’Ue. Di fronte alle pressioni dell’asse franco-tedesco, il nostro Paese deve riguadagnare un ruolo da protagonista, a fronte di una certa sottovalutazione della questione in passato. “Se in Europa non contiamo come dovremmo, è solo colpa nostra; mancano strategia e determinazione, il sistema Italia non vuole capire che le decisioni si prendono a Bruxelles”, ha di recente ricordato il presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani.

IL VOTO DI DOMANI

Domani, a votare i propri emendamenti sarà la Commissione per l’industria, la ricerca e l’energia (Itre) del Parlamento europeo, nell’ambito della procedura legislativa ordinaria 2017/0125 che coinvolge anche il Consiglio dell’Ue. Al vaglio dei due organi c’è la proposta di regolamento per l’Edidp, presentata dalla commissaria Bienkowska lo scorso giugno. Il programma si inserisce nel più ampio European defence fund (Edf), e in particolare nella finestra dedicata alle capacità. Per l’Edidp sono previsti 500 milioni di euro per il biennio 2019-2020, che diventeranno 1 miliardo l’anno dopo il 2020 nell’ambito di un più ampio programma di sviluppo e acquisizione.

GLI INTERESSI ITALIANI

La scorsa settimana, i presidenti delle regioni Piemonte, Liguria, Lombardia e Lazio hanno scritto una lettera al presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani, e agli eurodeputati italiani membri della commissione Itre per chiedere di confermare “il compromesso raggiunto in Consiglio” lo scorso dicembre. Per Sergio Chiamparino, Giovanni Toti, Roberto Maroni e Nicola Zingaretti occorre consentire “alle aziende del settore difesa controllate da proprietari non europei, a determinate condizioni, di poter partecipare al programma”. In caso contrario ci sarebbero “inevitabili ripercussioni in termini di mancato sviluppo tecnologico, perdita di competitività e mercato, impattando molto negativamente sui livelli occupazionali”.

IL DIBATTITO SULLE ELIGIBLE ENTITIES

Sin dalla sua presentazione, infatti, la proposta della Commissione europea è stata accompagnata dal dibattito relativo ai criteri per definire i soggetti industriali che potranno beneficiare delle risorse europee (eligible entities). Il testo della Commissione prevedeva inizialmente che i beneficiari potessero essere solo “imprese stabilite nell’Unione, delle quali gli Stati membri e/o i cittadini degli Stati membri detengono oltre il 50% e sulle quali esercitano un controllo effettivo” (art. 7). Ciò tuttavia escluderebbe le aziende che, pur mantenendo le attività nel territorio di uno Stato membro per tutta la durata dell’azione da finanziare, non hanno controllo europeo. Questo significherebbe tirare fuori dalla partita industrie controllate da soggetti esterni all’Ue, che tuttavia hanno attività in Europa e che, integrate nelle catene di fornitura, da sempre fanno importanti investimenti in alcuni Paesi membri. È questo il caso di aziende italiane a controllo straniero. Basti pensare ad Avio Aero, business della statunitense Ge Aviation che conta nell’Ue circa 12mila dipendenti (4.200 dei quali proprio nel nostro Paese). Sarebbe anche il caso di Piaggio Aerospace, l’azienda italiana di Villanova d’Albenga controllata dal fondo emiratino Mubadala, che impiega oltre 1.200 persone. In Italia, hanno scritto i presidenti della quattro regioni, le aziende del settore della difesa controllate da proprietari non europei “impiegano direttamente oltre 8.200 addetti, 18,6% del totale”, una cifra che il Paese non può permettersi di lasciare fuori dalla difesa comune.

LA VERSIONE DEL CONSIGLIO

Per queste ragioni, dopo un’intensa attività negoziale nel corso della presidenza estone, il Consiglio dell’Unione europea ha presentato a dicembre le proprie modifiche al testo della Commissione, quelle che i presidenti delle quattro regioni italiane vorrebbero fossero confermate domani. Tra queste, soprattutto la trasformazione dei criteri di eligibilità. Al criterio della proprietà, il Consiglio preferisce basare l’aggiudicazione delle risorse sulla localizzazione delle capacità tecnologiche e industriali, comunque mitigata da meccanismi di tutela degli interessi nazionali (come nel caso della golden power italiana). “I beneficiari saranno imprese pubbliche o private stabilite nell’Unione”, si legge nel testo del Consiglio (art. 6). “Le infrastrutture, le attrezzature, i beni e le risorse dei beneficiari e dei loro subappaltatori utilizzati ai fini delle azioni finanziate nell’ambito del programma sono situati nel territorio dell’Unione durante tutta la durata dell’azione e le loro strutture di gestione esecutiva sono stabilite nell’Unione”. Poi, il Consiglio specifica che “ai fini delle azioni finanziate nell’ambito del programma, i beneficiari e i loro subappaltatori non sono soggetti al controllo di paesi terzi o di entità di Paesi terzi”, sebbene preveda subito dopo una deroga: “Un’impresa controllata da Paesi terzi o da entità di Paesi terzi è ammissibile in qualità di beneficiario o di subappaltatore (…) se lo Stato membro in cui è situata fornisce garanzie sufficienti, in conformità delle sue procedure nazionali, che ciò non sia in contrasto né con gli interessi di sicurezza e di difesa dell’Unione e dei suoi Stati membri” (appunto la golden power). L’augurio è che la Commissione parlamentare possa confermare domani questa impostazione.

INTERESSI A CONFRONTO

Eppure, la Commissione Itre del Parlamento europeo sarà chiamata a votare il report firmato dalla parlamentare francese Françoise Grosstete, che torna invece sul criterio del “controllo effettivo” della prima versione della proposta. Non è d’altronde un segreto che le pressioni per escludere aziende a controllo extra-Ue (prevalentemente statunitensi) vengano soprattutto dalla Francia, che ha tutto l’interesse in questa fase progettuale a sostenere il proprio comparto industriale. La Commissione parlamentare deciderà comunque se conferire un mandato per i negoziati in prima lettura con il Consiglio, in attesa di un accordo che dovrebbe permettere di partire con i primi finanziamenti nel 2019. Vista l’urgenza, la Commissione potrebbe fare richiesta di entrare al più presto nei negoziati inter-istituzionali, il cosiddetto “trilogo” che coinvolge Parlamento, Consiglio e Commissione. Sarà proprio questa la fare più delicata in cui si dovrà giungere a un accordo definitivo. La partita è appena iniziata, ma in molti sembrano già pronti a giocarsi le proprie carte.

La difesa comune e gli interessi dell'industria italiana al Parlamento europeo (con Tajani)

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