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“Ama il prossimo tuo come te stesso”. Mi ha sempre colpito quello che nel Vangelo di Matteo viene definito il “secondo comandamento”. L’amore, mi chiedo, può essere oggetto di comandamento? Non è un sentimento che si può, forse, ispirare, ma che, quanto al sorgere, prescindere da ogni volontà? (Non è questa, certo, la sede per entrare nel merito della traduzione del passo evangelico, peraltro simile in tutti i sinottici. Ciò che conta è il significato più immediato che ne trae il lettore o l’ascoltatore contemporaneo). Per converso, nel discorso della montagna si legge: “Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo loro: questa infatti è la Legge e i Profeti”. È la regola d’oro che, talora formulata in senso negativo (“non fare”, “evita”), è presente anche in altre religioni e nella filosofia greca.

Nella letteratura cristiana, la regola d’oro viene ricondotta al comandamento dell’amore, anzi è la regola nella quale si traduce il comandamento dell’amore. E anche chi, come il Rubricante, ha difficoltà a riuscire ad amare l’Altro, l’Altro indistinto, dinanzi a una regola di prossimità non può accampare alibi o giustificazioni. La regola d’oro è la regola su cui si basa la convivenza umana.

Ora, una regola si osserva non per amore, ma per volontà. Fare agli altri quello che si vuole facciano a noi. Chiunque, in qualunque momento, può operare in questo senso. Con maggiore o minore latitudine, ma chiunque può farlo. Basta volerlo. Più che mai, volere è potere. In verità, le ragioni del volere possono essere le più varie e disparate. Epperò, radicalizzandole, sono, essenzialmente, due: l’interesse e l’amore. Il primo può essere razionalmente identificato e, quindi, stimolato da chi ha la gravosa responsabilità di governare e pacificare uomini e Paesi. Tuttavia, è limitato in quanto limitate sono le risorse che lo possono alimentare. Il secondo, l’amore, è invece infinito, senza limiti, ma sfugge a ogni possibilità di programmazione. Con l’aggravante che l’amore – Eros è un demone, ammonivano gli antichi – non può essere comandato, ma può sempre essere soffocato.

Ecco perché in un tempo nel quale l’accoglienza dei migranti è diventato uno dei più grandi dilemmi morali, economici e sociali della società occidentale, c’è il grave rischio che le politiche cosmopolite invece di rendere prossimo l’Altro, finiscano per operare in senso contrario. Viene alla mente un pensiero di Giacomo Leopardi che pulsa come un vaticinio: “L’amore universale, distruggendo l’amor patrio non gli sostituisce verun’altra passione attiva, e quanto più l’amore del corpo guadagna in estensione, tanto più perde in intensità ed efficacia.

Quando cittadino romano fu lo stesso che cosmopolita, non si amò né Roma né il mondo. L’amor patrio di Roma, divenuto cosmopolita, divenne indifferente, inattivo e nullo; e quando Roma fu lo stesso che il mondo, non fu più patria di nessuno, e i cittadini romani, avendo per patria il mondo, non ebbero nessuna patria, e lo mostrarono con i fatti”. La constatazione di Leopardi è un ammonimento. Attuale più che mai. Il secondo comandamento dell’amore parla di prossimo. E la regola d’oro, ove letta alla luce del comandamento, chiede, con sano realismo, di fare al prossimo quello che si vuole per sé. E se di prossimo in prossimo si può stringere in un unico abbraccio l’intera umanità, la storia – come ammonisce il poeta – insegna che quando Roma fu il mondo, non si amò più né Roma, né il mondo.

(Formiche n. 133/2018)

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