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Negli ultimi anni le possibilità di cura dei pazienti si sono ampliate non poco. La percentuale di persone sopravvissute dopo una diagnosi di tumore è aumentata nel nostro Paese in soli 7 anni, dal 2010 al 2017, fino al 60% nel caso del cancro alla prostata e più del 50% per quello alla tiroide. Percentuali meno eclatanti ma pur sempre a doppia cifra hanno riguardato la stragrande maggioranza delle tipologie più diffuse di tumore. Ma il meglio, non solo nell’oncologia, deve ancora arrivare, grazie alle terapie avanzate innovative. Farmaci basati su terapie cellulari e geniche già nei prossimi mesi potrebbero cambiare il destino di molte migliaia di pazienti. Anche in Italia. Si pensi, ad esempio, alla prima terapia genica commercializzata per una rara forma di cecità ereditaria – la distrofia della retina – grazie alla quale viene data una concreta possibilità di recuperare la vista a bambini fino ad oggi condannati dalla nascita.

Un cambio epocale che vede però impreparato il nostro sistema sanitario nazionale, in particolare a livello di rete ospedaliera, ad accogliere e gestire tali innovazioni. Infatti l’innovazione, determinata dalle nuove cure, non consiste solo nella mera somministrazione di nuovi farmaci ma in un approccio terapeutico complessivo totalmente diverso rispetto al passato. Con una crescente integrazione, ad esempio, tra farmaci e dispositivi medici o tra farmaci diversi. Tutto questo avviene a un prezzo, quello che serve a produrre le nuove terapie, dopo aver escluso decine e a volte centinaia di molecole prima di arrivare a quella che davvero funziona. Ma si tratta di un costo, naturalmente negoziato dalle Agenzie del Farmaco dei diversi Paesi, che deve essere considerato a 360 gradi. Perché un’analisi seria deve includere anche i possibili risparmi sulle altre voci di spesa sanitaria, ma anche su quella assistenziale e previdenziale. Ad esempio, una cura efficace può determinare da un lato un minor costo in termini di degenza ospedaliera e dall’altro risparmi su assegni di malattia e invalidità e pensioni di inabilità.

Per questa ragione, come abbiamo tentato di fare nel recente rapporto I-Com dal titolo “Inside out” occorre pensare sia “inside the box” – e quindi alla spesa sanitaria nel suo complesso – che “outside the box”, e cioè ai costi non sanitari correlati, come appunto quelli sociali e previdenziali. Se si continua a ragionare secondo una logica a compartimenti stagni, si va poco lontano e non si riesce a ottenere il necessario mix tra innovazione e sostenibilità. Tradendo le aspettative dei tanti cittadini e pazienti, che dopo tanti anni, hanno oggi la possibilità di dare una svolta alla propria salute e a quella dei propri cari.

Ecco perché la nuova governance farmaceutica, che, nonostante i buoni propositi, i precedenti governi non sono stati in grado di assicurare, e che è citata anche nel contratto dell’attuale esecutivo, rappresenta un’occasione imperdibile per avviare un percorso che smantelli i silos esistenti e consenta un approccio olistico in grado di mettere al centro il percorso di cura dei pazienti, indipendentemente da quali voci esso si componga. Con il duplice obiettivo di assicurare le migliori cure possibili e di rispettare il vincolo di budget. Un binomio che, grazie a terapie sempre più in grado di assicurare una completa guarigione o, quantomeno, una migliore qualità della vita, sta diventando sempre più realizzabile.

Perché servirebbe una nuova governance farmaceutica

Negli ultimi anni le possibilità di cura dei pazienti si sono ampliate non poco. La percentuale di persone sopravvissute dopo una diagnosi di tumore è aumentata nel nostro Paese in soli 7 anni, dal 2010 al 2017, fino al 60% nel caso del cancro alla prostata e più del 50% per quello alla tiroide. Percentuali meno eclatanti ma pur sempre…

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