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Non era davvero possibile pensare che il ciclone dei dazi abbattutosi sull’Europa e, di riflesso, sull’Italia, non condizionasse e non impattasse sugli equilibri messi nero su bianco, solo pochi giorni fa, nel Documento di economia e finanza. Ma le variabili geopolitiche, si sa, spesso sono imprevedibili. E così, l’architettura dei conti pubblici italiani è uscita quasi travolta dal Consiglio dei ministri tenutosi nel tardo pomeriggio a Palazzo Chigi. Al Tesoro, Giancarlo Giorgetti e il suo staff hanno dovuto giocare di realismo e ipotizzare uno scenario più avverso, per poi tradurlo in cifre. Partendo da una premessa. L’incertezza globale sui mercati finanziari causata dalla stretta tariffaria e i conflitti in corso, a partire da quelli in Ucraina e Medio Oriente, potrebbero portare l’esecutivo a rivedere prudenzialmente a ribasso le stime sulla crescita per il triennio 2025-2027. Anzi, più che potrebbero, possono.

E così, andando al punto, la crescita del Pil per il 2025 è stata rivista al +0,6% per poi essere alzata attorno all’1% nel 2026. Una contrazione, abbastanza netta, rispetto al Documento programmatico di bilancio dello scorso autunno, nel quale il governo ipotizzava per quest’anno una crescita dello 0,9% e per il prossimo anno all’1,1%. La buona notizia, se così si può dire, è che la crescita dello 0,6% per il 2025 combacia con quella ipotizzata nei giorni scorsi da Bankitalia, lo 0,8% invece corrisponde a la stima elaborata a febbraio dall’Ufficio Parlamentare di Bilancio.

Ocse ed Fmi invece negli ultimi mesi hanno ipotizzato una crescita per l’Italia rispettivamente allo 0,7% nel 2025 e allo 0,9% per il 2026. Nonostante una crescita in discesa che dimezza gli obiettivi d’autunno, il Documento portato in Consiglio dei ministri da Giorgetti non ha messo in discussione la linea di deficit e debito tracciata pochi mesi fa dal Piano strutturale di bilancio (Psb) concordato con la Commissione Ue. Il rapporto deficit/pil è stato fissato quest’anno al 3,2-3,1% (e quindi leggermente sotto il 3,3% indicato nel Psb). Un ritocco spinto dal miglioramento delle entrate che rendono più concreto l’obiettivo di condurre il disavanzo sotto il 3%. Meglio del previsto anche il debito che nel 2025 dovrebbe essere previsto al 136,6% contro il 136,9 del Psb.

E i dazi? Non bisogna mai dimenticare che la natura del nuovo Documento, come deciso dalla risoluzione di maggioranza votata alle Camere il primo di aprile, è in linea con le nuove regole europee, ed è quindi solo tendenziale ed escluderà quindi la parte programmatica che nei documenti di finanza pubblica indica le intenzioni dell’esecutivo. Tradotto, non ci sarà il quadro programmatico (la cornice delle misure espansive), né si troveranno al suo interno indicazioni sulle spese per la difesa, limitandosi a descrivere la situazione tendenziale a legislatura vigente. Fotografia che non potrà, tuttavia, non tener conto dei dazi imposti all’amministrazione Trump. E così è stato.

Un Def a prova di dazi, tra Pil dimezzato e tenuta del debito

Nel Documento di economia e finanza portato da Giancarlo Giorgetti in Consiglio dei ministri, il governo gioca di realismo e incassa l’effetto emotivo dei dazi, tagliando la crescita allo 0,6%. I saldi di debito e deficit, però, tengono decisamente bene

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