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Non è un ricatto, ma uno stratagemma. E comunque, la mossa sarebbe più che giustificata. Sono mesi che sulla questione degli asset congelati della Russia (tra i 200 e i 300 miliardi) è calata una cortina di nebbia. Quasi un oblìo. Dopo la fiammata del G7 di Borgo Egnazia, nel giugno del 2024, nel corso del quale i Grandi della Terra avevano trovato l’intesa sul maxi-prestito da 50 miliardi a all’Ucraina, da garantire proprio con gli asset di Mosca messi sotto chiave in Europa, poco o nulla si è mosso, dentro e fuori la commissione europea. Troppa, forse, la paura di molti Paesi membri di creare un pericoloso precedente: confiscare e monetizzare beni altrui vorrebbe dire creare una pericolosa falla nel diritto internazionale, che tutela ricchezza e libero mercato.

E allora stop. Va bene, ma i soldi sono pur sempre congelati e per questo inutilizzati. Allora, ecco una soluzione, arrivata direttamente dallo European council for foreign relations, il principale think tank pan-europeo. Premessa: con il disimpegno americano, sia sul versante finanziario, sia militare, aiutare l’Ucraina nella sua lotta per la resistenza all’invasione è diventato per l’Europa ancora più oneroso. Di qui la logica vorrebbe un’accelerazione verso uno smobilizzo dei beni russi, in favore di Kyiv. Ma, per le remore poc’anzi citate, quei soldi si possono toccare fino a un certo punto. La Russia, da parte sua, se la passa decisamente male, con l’economia di guerra che ormai non basta più a tenere in piedi imprese e consumi, come raccontato in diverse occasioni da questo giornale.

Ed è proprio su questo che verte la proposta dell’Ecfr: usare questo bisogno di ossigeno della Russia per costringerla a partecipare alla ricostruzione dell’Ucraina. Tradotto: se Mosca rivuole indietro i suoi soldi messi sotto sequestro, deve accettare di aiutare il Paese invaso a rimettersi in piedi. Anzi, dovrà chiederli direttamente a Kyiv. Fantascienza? Forse, o forse no, potrebbe anche funzionare, 300 miliardi sono sempre miliardi. “L’amministrazione Trump sta tagliando i finanziamenti, e i Paesi europei faranno fatica a colmare il divario. I loro bilanci sono già in difficoltà e hanno bisogno di liquidità extra: la soluzione ovvia sarebbe che gli europei utilizzassero i 300 miliardi di dollari di beni sovrani congelati dalla Russia, di cui circa 210 miliardi di euro sono detenuti nell’Unione Europea. Il problema è che la confisca diretta è politicamente impossibile, perché molti paesi nutrono scrupoli legali”.

Allora? “Fortunatamente, esiste un’alternativa, una sorta di prestito di riparazione. Si tratta di un modo per usare il denaro russo contro se stessa, prestandolo all’Ucraina. Mosca recupera i suoi soldi solo se paga le riparazioni. Il prestito è di fatto un acconto sull’obbligo del Cremlino di risarcire i danni di guerra. Questa idea si basa sulla richiesta dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite alla Russia di pagare i danni. E praticamente tutti gli studiosi di diritto internazionale che si sono occupati della questione concordano sul fatto che la Russia sia tenuta, in base al diritto internazionale, a risarcire i danni. Il problema è che ci vorranno anni prima che la commissione per i risarcimenti emetta una sentenza, eppure Kiev ha bisogno di denaro subito. Un prestito per i risarcimenti risolverebbe questo problema di tempistiche”.

Insomma, “i beni russi congelati verrebbero impiegati in prestiti in favore dell’Ucraina, che verrebbero rimborsati solo se la Russia pagasse poi la sua quota di riparazioni. Se Mosca adempisse ai propri obblighi, il prestito verrebbe rimborsato integralmente. In caso contrario, l’unica parte lesa da tale inadempimento sarebbe la Russia stessa”. Riepilogando: i beni confiscati verrebbero girati all’Ucraina, la quale li userebbe per la ricostruzione. Poi, se la Russia collabora, quei soldi le verrebbero restituiti, altrimenti si tratterebbe in un’operazione a fondo perduto.

La quale, precisa l’Ecfr, eviterebbe anche il problema ungherese. Il regime di sanzioni dell’Ue contro la Russia, incluso il congelamento dei suoi beni sovrani, viene rinnovato ogni sei mesi. Ciò richiede l’approvazione di tutti i 27 Stati membri. Il primo ministro ungherese Viktor Orbán, vicino a Putin, ha più volte minacciato di non sostenere il rinnovo delle sanzioni. Il prestito di riparazione eviterebbe questo problema. Una volta che i beni della Russia fossero stati impiegati in prestiti, non avrebbe importanza se venissero scongelati, poiché verrebbero comunque rimborsati solo se il Cremlino pagasse i danni a Kyiv.

La Russia aiuti Kyiv e riavrà i suoi soldi. Idea di Ecfr

Da mesi sui 300 miliardi di Mosca messi sotto chiave in Europa, è calata la nebbia, anche per colpa dei tanti scrupoli legali legati all’operazione. Ma un’idea ci sarebbe: prestare quei denari all’Ucraina per risollevarsi e poi rimborsarli al Cremlino. Ma solo a un patto

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