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Non è sicuramente al centro della campagna elettorale in queste settimane di acceso confronto politico in Italia. Ma il tema della regolamentazione della attività di rappresentanza di interessi, meglio conosciuto come lobbying, dovrebbe essere considerato uno dei dossier legislativi più caldi della prossima legislatura.

Apparentemente un provvedimento tecnico, in realtà la potenziale regolamentazione dell’attività del lobbista potrebbe avere molteplici conseguenze, tutte positive, sul dibattito politico-giudiziaro, in materia di trasparenza del processo legislativo, di conflitto di interessi.

Il tema non è certo nuovo nel dibattito politico. Fin dagli anni Settanta si sono succedute innumerevoli proposte di legge, prodotte dal Parlamento o presentate da vari governi di diverso colore, ma con risultati pari a zero. La nuova legislatura dovrà affrontare il tema. Di questa necessità si è occupata l’American Chamber of Commerce in Italia che, attraverso il gruppo di lavoro Public Affairs, ha cercato di costruire uno snello documento di riflessione e di proposta.  Non affastellando una ennesima proposta legislativa in materia, ma offrendo una analisi internazionale comparata e indicando dieci raccomandazioni, frutto delle diverse esperienze nazionali e internazionali che si sono accumulate negli anni, rivolte ai diversi schieramenti politici in campo, nella speranza che il tema riceva la dovuta attenzione nella prossima legislatura.

Sono almeno due le ragioni che rendono ancora più necessario, rispetto al passato, un intervento efficace sull’attività di lobby. Prima di tutto, in assenza di qualsiasi normativa nazionale di riferimento, organismi istituzionali centrali (ad esempio la Camera dei Deputati o lo stesso ministero dello Sviluppo Economico) e regionali (Toscana e Calabria le prime) hanno prodotti regolamenti o normative settoriali che spesso partono da presupporti e sviluppano direttive disuguali e contrastanti. In secondo luogo l’introduzione del reato di traffico di influenze, avvenuto nel 2012, ha creato situazioni di interpretazioni difformi e contrastanti, alimentate dall’assenza di una norma che stabilisca in cosa consiste effettivamente l’attività di lobby. E recenti casi di cronaca giudiziaria, abbinata alle inevitabili risonanze mediatiche, non fanno altro che avvalorare la necessità di fare chiarezza in materia.

Il documento dell’American Chamber of Commerce parte da alcuni presupposti. Il primo è che la partecipazione dei rappresentanti di interesse al processo legislativo e all’orientamento delle scelte del decisore pubblico, è una realtà imprescindibile in tutte le democrazie pluraliste e un principio riconducibile anche allo spirito della nostra Costituzione.

Purtroppo la mancanza di una chiara, univoca ed efficace regolamentazione delle attività di lobbying rende difficoltosa nel nostro Paese la costruzione di un rapporto rispettoso e trasparente tra decisore pubblico e interlocutore aziendale. A tutto svantaggio della reputazione del lobbista che non attraversa certo una fase di esaltante considerazione. Tale lacuna permette, da un lato, l’esistenza di una molteplicità di attori che “fingono” di svolgere la professione di lobbista, operando in realtà con modalità e schemi assolutamente lontani dalle migliori pratiche della professione, scadendo addirittura in pratiche illegali e perfino corruttive; dall’altro determina una maggiore “opacità” dei processi decisionali.

Per questi motivi, il gruppo di lavoro Public Affairs di American Chamber of Commerce in Italy (“AmCham Italy”), formato da un nucleo rappresentativo di grandi aziende italiane e americane e da alcune tra le principali società di consulenza del settore, è convinto che solo una norma generale sulla formazione delle decisioni pubbliche e sulla regolamentazione delle attività di lobbying, possa collocare questa attività in un contesto equilibrato e unitario.

L’elaborazione di politiche pubbliche efficaci, coerenti e significative, richiederebbe un continuo e costante confronto con le controparti in causa, per permettere al legislatore di giovarsi delle competenze dei diversi portatori di interesse. Eseguito con trasparenza, questo processo aiuterebbe l’identificazione e la considerazione delle diverse opzioni, lasciando al decisore pubblico la scelta finale, in base a valutazioni chiare e giustificate.

Occorre quindi uno strumento legislativo unico, nazionale, applicabile in tutti i contesti istituzionali. Spesso ci si concentra su aspetti, come quello relativo all’accesso dei lobbisti al “Palazzo”, del tutto secondario rispetto al tema centrale che è quello di far emergere, in tutta trasparenza, la relazione tra portatore di interessi e soggetto istituzionale.

L’esperienza internazionale dimostra come sia utile l’introduzione di un registro dei lobbisti, strumento che consente appunto di censire i portatori di interessi, la loro attività e i contatti in essere con le istituzioni. Ma l’iscrizione al registro deve essere obbligatoria e non volontaria come spesso avviene, con il rischio di depotenziare lo strumento e renderlo inefficace.

Introdurre maggiore trasparenza non significa solo distinguere e far emergere l’attività professionale dei lobbisti, ma anche introdurre iniezioni di semplificazione nell’accesso pubblico alle diverse fasi del processo decisionale.  Trasperenza per i lobbisti certamente sì, ma in simbiosi con una maggiore e trasparente responsabilizzazione del legislatore. Perché non introdurre un meccanismo simile a quello britannico, dove è possibile avere accesso alla fase di consultazione durante la quale il legislatore ascolta o dovrebbe ascoltare i portatori di interesse particolari, con le relative risposte dell’organo istituzionale oggetto dell’attività di lobbying?

Un altro esempio. In Italia esiste un “Decreto Trasparenza” (D. Lgs. N. 33/2013), che impone la totale accessibilità alle informazioni riguardanti le attività e l’organizzazione della amministrazione pubblica. Peccato che, al di là dell’effettivo grado di applicazione della norma, questo provvedimento non considera l’attività lobbistica. Una futura normativa dovrebbe invece contemplare meccanismi di completa apertura al pubblico del processo legislativo mediante la tracciabilità dell’attività di lobbying. A livello europeo già esistono meccanismi che, nella tutela delle informazioni di carattere sensibile e confidenziale, dispongono che tutte le parti in causa debbano tenere una reportistica completa e aggiornata che consenta di verificare le agende degli incontri, l’argomento discusso e il luogo in cui sono avvenuti.

Una normativa sul lobbying dovrebbe inoltre prevedere misure che impediscano, a coloro che rivestono cariche pubbliche elettive, alti funzionari pubblici e componenti degli staff dei ministeri, di svolgere attività di lobbying per un arco di tempo congruo e definito a partire dal termine del mandato o dell’incarico.

Accanto agli innumerevoli e necessari doveri dei lobbisti in termini di chiarezza e trasparenza, il documento presentato dall’American Chamber of Commerce raccomanda la garanzia della partecipazione dei lobbisti al processo decisionale stesso. Tra l’altro l’obbligo di consultazione dei vari portatori di interesse associati a un dato provvedimento legislativo apporterebbe notevoli benefici rispetto a quello che viene definito come la doverosa analisi dell’impatto della regolamentazione, elemento fondamentale nell’ambito della qualità della legislazione, ma spesso trascurato nel nostro Paese.

L’eccessiva produzione legislativa, o la scarsa applicazione del nostre inumerevoli leggi, sono temi sempre di più al centro dell’attenzione dei media e delle proteste dell’opinione pubblica. Eppure la cattiva o l’inefficace applicazione delle leggi sono frutto di una analisi preventiva assente o scarsa, senza parlare poi della misurazione della sua efficacia dopo un certo periodo di applicazione. L’analisi dell’impatto, soprattutto per quanto riguarda leggi che hanno effetti importanti sul settore privato, sulle organizzazioni della società civile e sui servizi, dovrebbe essere una costante in una società aperta, imperniata sulla trasperenza del processo legislativo e la consultazione dei diversi interessi in gioco.

In Gran Bretagna e in Francia esistono dei comitati di valutazione e di controllo delle politiche pubbliche molto efficaci in tale compito, formati da esperti di diversa estrazione che hanno l’obiettivo di valutare, dopo un arco temporale definito, i risultati prodotti dalle leggi approvate dal Parlamento, fornendo analisi di impatto e suggerimenti su come migliorarle, anche alla luce delle raccomandazioni raccolte dai diversi gruppi di interesse in gioco.

Come si vede, tutto si tiene. Definizione dell’attività di lobby, modalità chiave nello svolgimento della professione, trasparenza nella rappresentanza degli interessi contrapposti, chiarezza e apertura nei processi legislativi, sono tutti elementi che vanno regolati in maniera coordinata e ai diversi livelli istituazionali.

Abbinati a un semplice ma necessario apparato sanzionatorio e alla definizione di poche ma precise regole in merito a possibili conflitti di interesse dei decisori pubblici, fornirebbero l’intelaiatura di una norma completa e realmente efficace. A beneficio dei cittadini, dei decisori pubblici e degli stessi lobbisti.

 

 

 

 

Come fare lobby in Italia. Ecco le dieci proposte dell’American Chamber of Commerce

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