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Scemata la fase “insurrezionale” del movimento indipendentista catalano, la causa secessionista si trova oramai privata dei suoi protagonisti, finiti dietro le sbarre di Madrid o volati al di là dei Pirenei, all’ombra dei palazzi istituzionali di Bruxelles. Gli occhi sono ora puntati sulle elezioni del Parlamento fissate dal premier Mariano Rajoy per il 21 dicembre. Gli indipendentisti, con o senza il loro leader Carles Puigdemont, correranno per conquistare la maggioranza, ma le divisioni interne e la perdita di consensi rischiano di azzoppare i partiti secessionisti alle urne.

Nell’attesa Limes, rivista di geopolitica diretta da Lucio Caracciolo, ha interamente dedicato il suo volume di dicembre alla querelle iberica, intitolandolo, significativamente, “Madrid a Barcellona”. Presentato mercoledì in un incontro organizzato da Inforelea al Palazzo del Vicariato Vecchio, con gli interventi degli ex ministri degli Esteri Massimo D’Alema e Franco Frattini e di monsignor Marcelo Sanchez Sorondo, cancelliere della Pontificia Accademia delle Scienze Sociali (Pass), la rivista ripercorre le montagne russe della causa indipendentista, riportandone a galla le radici storiche e offrendo alcuni spunti per il futuro delle autonomie in Europa.

D’Alema, che oggi presiede la Fondazione Italianieuropei, e che vanta ancora ottime amicizie tra i socialisti spagnoli, uno su tutti l’ex presidente dell’Europarlamento Enrique Baron Crespo, non usa mezzi termini per condannare le rivendicazioni di piazza a Barcellona. “Una catastrofe” taglia corto, “frutto di una sequela di errori, una prospettiva dannosa per la Catalogna stessa”. Non meno impietoso il giudizio sui leader della rivolta, “un gruppo dirigente il cui avventurismo ha assunto aspetti tragicomici”. Nulla a che vedere con il fondatore del movimento indipendentista, Jordi Pujol, che D’Alema ricorda come “un fuoriclasse, una sorta di straordinario Andreotti catalano, che sapeva spingere sull’acceleratore dell’autonomismo per fermarsi al momento opportuno”.

Su Madrid, incalza il leader Mdp, ricadono le colpe di una mala gestio dei bollori catalani, a cominciare dalla rigidità dell’intervento di polizia e magistratura, che “ha messo il vento nelle vele dell’estremismo” e costituisce “una via di uscita drammaticamente deficitaria dell’unico strumento che può risolvere la crisi, la politica”. Le divisioni della popolazione spagnola, spiega D’Alema, sono forse più visibili, ma non meno gravi rispetto alla frattura che divide l’Italia da Nord a Sud. “Non abbiamo i separatisti, ma abbiamo due, forse tre Italie” insiste l’ex titolare della Farnesina, “non mi spaventa il referendum consultivo per l’autonomia veneta, chi sarà al governo discuterà. Mi spaventa il fatto che mentre in Lombardia c’è una crescita economica e si sta creando un welfare aziendale, in Calabria non c’è quasi più il sistema sanitario”.

Franco Frattini, presidente della SIOI, decide invece di spezzare una lancia per l’amico Mariano Rajoy, con cui condivide il tetto del Partito popolare europeo (Ppe). A chi ha criticato i tentennamenti del premier spagnolo durante i primi mesi di sommovimenti, il forzista risponde: “Conosco bene Rajoy, è nel suo carattere decidere dopo aver acquisito tutti gli aspetti della questione”. Mostra invece meno clemenza per l’indifferenza di Bruxelles, dove ha servito come vice-presidente della Commissione UE. “Ridicolo spostare il negoziato a Bruxelles”, avrebbe posto Stato e secessionisti sullo stesso piano, “ma l’Europa doveva fare un passo in più, parlare con più chiarezza”.

Tutte le stilettate di Massimo D'Alema agli indipendentisti catalani

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