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La Commissione Europea ha aperto l’ennesima indagine per verificare se l’imponente carico di risorse di prestito-ponte stanziate per l’agonizzante Alitalia abbia violato il divieto previsto di utilizzare denaro pubblico per gli aiuti di Stato.

La legge sull’aiuto di Stato è generalmente il termine comune per indicare il divieto previsto nel trattato degli Stati membri di fornire sovvenzioni alle imprese che minacciano di distorcere la concorrenza nell’Unione Europea. L’esatta definizione degli aiuti di Stato è ricavabile dall’articolo 107, paragrafo 1 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (Tfue), versione consolidata, da ultimo modificato dall’articolo 2 del Trattato di Lisbona del 13 dicembre 2007 e ratificato dalla legge 2 agosto 2008, n.130 ed entrato in vigore l’1 dicembre 2009. Secondo questa disposizione, qualsiasi aiuto concesso da uno Stato membro o da risorse statali in qualsiasi forma che distorce o minaccia di falsare la concorrenza favorendo talune imprese o la produzione di determinate merci, sarà, nella misura in cui interessa gli scambi tra Stati membri, incompatibile con il mercato interno.

Così dopo il clamoroso scivolone effettuato di recente per gli “aiuti” alle banche dove la Commissione ci ha contestato l’intervento nelle famose “cattive banche” ancora oggi agonizzanti che ci hanno rifilato derivati, eccoci di nuovo sotto inquisizione perché pare che il prestito-ponte ad Alitalia – oltre 400 milioni – sia stato disinvoltamente concesso senza la clausola di garanzia prevista del prestito da restituire in sei mesi. Va ricordato che vi sono regole minimali che devono essere soddisfatte per poter classificare una misura come aiuto di Stato. Una riguarda l’evenienza che il provvedimento venga concesso da uno Stato o quantomeno da risorse statali e tale aiuto deve provenire dalle risorse economiche dello Stato. E sia Alitalia che le banche sono state salvate con risorse pubbliche. Al riguardo, e qui comincia il dubbio, lo Stato, nell’accezione più ampia, comprende non solo lo Stato di per sé ma anche le amministrazioni e le società che hanno stretti legami con esso e svolgono importanti funzioni amministrative?

Il punto dirimente è se lo Stato abbia o meno un’influenza determinante sull’impresa. Qualora lo Stato agisca come investitore privato nell’economia di mercato, l’intervento verrà considerato come un normale investimento. Tale intervento non è considerato rientrante nel divieto di aiuti di Stato previsto all’art. 107 Tfue. Allora se le aziende controllate dallo Stato, pertanto, eseguono transazioni orientate al mercato, non si tratta di aiuto così come previsto dal trattato sul funzionamento dell’Ue? Il regolamento Ue comunque e cioè sempre l’art. 107, par.1, del Tfue parla espressamente di imprese favorite, cioè il beneficiario dell’aiuto deve versare in condizioni migliori, rispetto alla situazione pregressa, dopo averlo ricevuto, di modo da avvalorare il fatto di aver ricevuto un vantaggio concreto. Sia le banche sia Alitalia non hanno dimostrato di essere diventate virtuose. Anzi. L’art. 107, par.1 del Tfue, vieta espressamente gli aiuti di Stato se e solo favoriscano determinate imprese o la produzione di determinati beni. Ciò significa che è vietata la misura mirata a un’impresa o a gruppi di imprese specifici. Appunto. Ultima considerazione che taglia la testa al toro: il regolamento Ue prevede che sia operativo il cosiddetto “obbligo di stand-still”, ovverossia l’obbligo di notificare alla Ue le misure di aiuto di Stato affinché possa effettuarne una valutazione in merito alla compatibilità con il mercato interno, o se addirittura sia totalmente irregolare. In attesa di questa valutazione, lo Stato membro non può dare attuazione alla misura. Invece…

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