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Il rapido iter che ha portato all’elezione dei due presidenti di Camera e Senato è ormai acqua passata. Le due cariche istituzionali ci sono, il Parlamento può cominciare a lavorare. La logica seguita per raggiungere l’accordo costituisce invece la base potenzialmente valida per giungere anche a costruire un consenso politico per Palazzo Chigi, sebbene adesso questa partita ricominci da capo e in modo sostanzialmente differente e più impegnativo.

Qui non si tratta, infatti, di trovare una quadra rappresentativa di tutti i vincitori, ma di giungere a un’intesa precisa che possa garantire il fare e realizzare cose concrete per gli italiani.

In politica è bene non farsi illusioni e vedere giorno per giorno cosa accade. Tuttavia, un ragionamento programmatico sulla possibile maggioranza centrodestra-M5S non soltanto non è impossibile, ma costituisce la sola reale possibilità per prolungare la vita di questa legislatura e l’unica cosa degna di nota su cui ragionare. Le basi a priori non ci sono, ma una convergenza a posteriori è invece pensabile e auspicabile, magari partendo proprio dal primato dei cittadini e delle loro esigenze nazionali concrete, un principio comune a entrambi i poli antagonisti della sinistra.

Proviamo a vedere a quali condizioni.

Una prima è soprattutto interna al centrodestra: qualsiasi tentativo di aprirsi a scenari volti a una riesumazione del Pd sono da escludersi categoricamente. Si è visto nel caso della candidatura poi tramontata di Paolo Romani al Senato, infatti, che la disponibilità in questo senso dei grillini, oltre che della Lega, non c’è e non ci sarà. In ultima istanza, chi ha votato Forza Italia lo ha fatto in alternativa innanzitutto al centrosinistra, e il Pd ha perso le elezioni. Per cui, è bene restare nei confini invalicabili bene indicati dagli elettori.

La seconda condizione invece riguarda positivamente il programma: è possibile conciliare in un governo due progetti così disuguali tra loro come sono quelli di Lega e M5S? Io credo di sì.

Una coalizione elettorale, lo abbiamo visto, non è un partito unico; figuriamoci se lo debba essere un’aggregazione di governo. Il sistema parlamentare, anzi, presume propriamente che si costruiscano sintesi eterogenee, che bilancino diverse istanze, altrimenti lo stesso modello rappresentativo di tipo legislativo sarebbe vanificato nella sua funzione mediatrice tra pluralità. Perciò è chiaro che un progetto di questo genere dovrebbe contenere sia le idee della Lega e Fratelli d’Italia, sia quelle di Forza Italia, unitamente a quelle grilline, trovando un equilibrio e una convergenza minima di fondo: naturalmente, calcolando in primis i rapporti di forza diversi di ogni protagonista e le proporzioni numeriche di ciascun gruppo.

In concreto se Luigi Di Maio e Matteo Salvini vorranno, sarà certamente possibile dar vita a un esecutivo che tenga insieme l’intero centrodestra e il M5S, tanto più che entrambi continuerebbero a tenere la propria mano sulla spina, potendo far morire il neonato governo in ogni momento, qualora non ne fossero più convinti o non vi fossero più le condizioni auspicate in partenza.

La ricetta della defiscalizzazione e quella del reddito di cittadinanza, nella loro purezza, non possono essere adattabili. Questo è sicuro. Ma, come la Lega comprende che il sud è povero e ha bisogno di aiuti, così i 5 Stelle sanno che il nord è l’unico ricco polmone che dà ossigeno e può sostenere lo sviluppo del Mezzogiorno. La flat tax dovrebbe trasformarsi in un radicale taglio agli sprechi, in una riorganizzazione della spesa pubblica e in una decisa revisione delle aliquote, mentre il reddito di cittadinanza in una forma meno assistenzialistica e più sussidiaria di promozione del meridione, fatta attraverso investimenti pubblici e privati, riforme e semplificazioni, oltre ovviamente a un maggiore tasso di onestà netta. In questo campo così aperto le convergenze potrebbero essere moltissime, e tutti guadagnerebbero qualcosa a stare insieme.

Più semplice, al contrario, è il raccordo sulla politica estera: andare verso un’Italia più presente e potente, meno subalterna e più incisiva in Europa, lottare contro l’immigrazione irregolare e garantire, innanzitutto, sicurezza attraverso rimpatri e controllo del territorio sono punti in comune già nei programmi elettorali di grillini e centrodestra. Dopodiché la contingenza degli avvenimenti farà il resto. Molte cose che un governo deve gestire corrispondono esattamente a ciò che deve essere fatto in una data circostanza, senza margini e arbitri pregiudiziali eccessivamente estesi.

Il vero problema semmai è chi potrebbe fare il presidente del Consiglio in un’ipotesi del genere. Qui il nodo politico diventa molto stretto, e in questo frangente la responsabilità cade direttamente sui due vincitori, Di Maio e Salvini.

Se l’ebrezza del potere dovesse averla vinta sulla logica e la lungimiranza, non sarà possibile giungere ad un accordo Lega-M5S: Di Maio, infatti, non accetterebbe Salvini premier, e viceversa. Se invece avvenisse il contrario, ossia che il ragionamento dovesse contemplare calma e prudenza, allora i due giovani leader potrebbero accettare anche la soluzione di essere due vice-presidenti del Consiglio paritetici, coordinati da una terza figura politica di garanzia.

In quest’ultimo scenario, a guidare il governo potrebbe essere un rappresentante di Forza Italia, naturalmente filo-leghista e non anti-grillino. Ad esempio, perché non pensare a Giovanni Toti o, eventualmente, al meno ingombrante Stefano Parisi?

In ultima istanza, il nome di chi governa e i ruoli istituzionali di chi ha il potere politico sono mete importanti ma non fondamentali per gli italiani. A ciò si aggiunga che oggi niente è più impopolare che l’ambizione smodata e frettolosa alla conquista del potere.

Se Lega e 5 Stelle hanno vinto le elezioni è perché hanno delle idee convincenti che supportano i loro progetti politici, e non semplicemente due leader che le espongono efficacemente.

La parabola rapida di Matteo Renzi insegna, oltretutto, che mordere il freno è più importante che guidare il cavallo. Un’esperienza di cui forse Di Maio e Salvini potrebbero far tesoro, se dovessero decidere d’amore e d’accordo di restare temporaneamente un passo indietro dalla presidenza del Consiglio.

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