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Ci troviamo di fronte alla possibile e auspicabile creazione di un sistema comune della difesa europea, ovvero alla nascita di Forze armate europee. La scelta di aggregare le Forze comuni porta con sé anche la potenziale aggregazione di tutto il sistema dell’industria continentale. La nuova postura di Bruxelles implica che ci saranno settori dell’industria della difesa che saranno riorganizzati. Probabilmente lo saranno quasi tutti, con l’unica eccezione di quei pochi che sono già integrati.

Per il nostro Paese, puntare sugli obiettivi comuni comporta farsi trovare nella condizione di poter partecipare con un ruolo da attore protagonista all’interno della nuova organizzazione, altrimenti il rischio di essere in qualche modo riaggregati all’interno di altre industrie della difesa europea può essere alto. Ciò si tradurrebbe in una perdita di ruolo importante per il nostro comparto industriale che oggi in Italia, come ha rilevato uno studio fatto realizzare dall’Aiad, genera, considerando tutti i contributi diretti, indiretti e indotti, complessivamente (tra imprese del settore aerospazio, difesa e sicurezza) 11,6 miliardi di euro di valore aggiunto (che rappresenta lo 0,8% del Pil). Il comparto, inoltre, occupa direttamente e lungo la filiera circa 159mila persone, garantendo entrate allo Stato per 4,9 miliardi di euro. Ecco il contributo che le attività delle imprese per la difesa apportano al sistema economico del Paese, non solo grazie alle loro ricadute dirette in termini di valore aggiunto, occupazione e gettito fiscale, ma anche ai benefici che si generano lungo la filiera attraverso le commesse, il trasferimento di conoscenze e l’occupazione aggiuntiva.

I rischi appena accennati possono essere però evitati mettendo in condizione l’industria della difesa di avere le risorse necessarie per poter partecipare ai programmi; di concertare con la politica le strategie e di entrare in possesso delle tecnologie. Last but not least, avere alle proprie spalle un sistema-Paese in grado di supportare e difendere il settore. Allo stesso modo, sarà fondamentale che il prossimo Parlamento e il prossimo esecutivo siano a conoscenza delle caratteristiche e delle esigenze dell’industria della difesa, valorizzandolo e operando per la sua tutela. Anche perché si tratta di un settore industriale che crea valore aggiunto, nel quale vengono investiti annualmente circa 1,4 miliardi di euro in ricerca e sviluppo (13% circa degli investimenti complessivi delle imprese italiane nell’intero settore della ricerca e dello sviluppo).

Altro elemento da non sottovalutare per il comparto è il valore della programmazione. Da questo punto di vista, la politica può garantire stabilità grazie a una pianificazione certa e a lungo termine di programmi, per assicurare stabilità alle aziende che operano nel settore. In un mercato internazionale che si fa sempre più aggressivo e competitivo, sarà altrettanto importante non perdere fette di export. Secondo i recenti dati elaborati da Sipri (l’International peace research institute di Stoccolma), i cinque maggiori esportatori di sistemi d’armi a livello internazionale risultano nell’ordine: Stati Uniti, Russia, Francia, Germania e Cina, che assieme rappresentano il 74% di tutte le esportazioni di armi nel periodo tra il 2013 e il 2017. Nella top ten di Sipri, l’Italia risulta in nona posizione. Il comparto della difesa, pur essendo sostenuto in parte dal governo, trova nell’export la possibilità di realizzare risorse. Quindi, quanto più l’Italia riuscirà a esportare, tanto più acquisirà in qualche modo capacità e soprattutto peso politico nel sistema internazionale.

Il prossimo governo dovrà prendere coscienza che il nostro Paese è dotato di un’industria della difesa e non dovrà vergognarsi di ammettere che il settore costituisce un asset importante per l’Italia. Come avviene in altre realtà europee, nelle azioni delle istituzioni a supporto dell’industria gioca un ruolo essenziale a livello internazionale anche il coinvolgimento del ministero degli Esteri. Un’attenzione particolare sarà poi riservata alle missioni militari, poiché una buona politica della difesa e un dialogo con l’industria del settore garantisce la possibilità di giocare una partita importante nei principali teatri di crisi. Le polemiche politiche intorno al programma del caccia di quinta generazione Jsf, noto come F-35, hanno alimentato in questi anni un falso senso di inadeguatezza che ha solo danneggiato il comparto rispetto alle industrie dei Paesi concorrenti.

Il prossimo Parlamento deve essere cosciente che un sistema politico industriale della difesa è un orgoglio per il Paese, proprio come accade in Francia, nel Regno Unito o in Germania. Orgoglio di poter dire che sostenendo l’industria della difesa, si alimento e consolidano relazioni con altri Paesi; si garantisce la sicurezza dei nostri soldati; si assicura la sicurezza dei cittadini nel nostro Paese. Il prossimo governo, prima di ripensare il comparto della difesa, dovrà tener presente che esso consente alle Forza armate, alle Forze di polizia e all’intelligence di tutelare e garantire la sicurezza, non solo all’estero, ma anche contro possibili atti di terrorismo interno. Ci auguriamo che il prossimo governo sia consapevole di questo.

Caro Parlamento, difesa e sicurezza contano. Ecco perché (e come) l'Italia deve investire

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