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Non sono bastati i comizi infuocati del presidente per spiegare l’adozione della misura protezionista dei dazi. Anzi. A poche ore dalla chiusura della tornata elettorale in Pennsylvania, che ha tenuto tutti con il fiato sospeso durante il conteggio dei voti ottenuti dai due principali candidati, il democratico Conor Lamb ed il repubblicano Rick Saccone, si apre uno scenario inedito nel panorama politico americano dell’era Trump, che parte da una città a vocazione industriale come Pittsburgh e giunge fino a Washington, da molti avvertito come un evidente segnale d’allarme per il partito repubblicano e per lo stesso presidente Donald Trump.

Le elezioni per l’attribuzione del seggio alla House of Representatives in un collegio assai pesante in termini di rappresentanza popolare, sono state giocate sul filo del rasoio e i risultati sono alquanto eloquenti per farsi un’idea sul peso delle prossime elezioni di medio termine: poco più di 500 voti distanziano il candidato democratico da quello repubblicano, con un effetto che potrebbe essere assai destabilizzante per gli equilibri tra i due schieramenti al Congresso, dove si preannuncia una guerra all’ultimo seggio in vista degli appuntamenti elettorali da qui alle elezioni del prossimo novembre.

La partita è aperta e tra i repubblicani si fanno i conti con gli effetti della sconfitta. In tanti, tra esponenti politici e analisti, temono le conseguenze di una possibile slavina in grado di far cadere la House nelle mani dei Democratici; un rischio, quest’ultimo, che nessuno è disposto a correre.

Tra i primi a insistere sui pericoli all’orizzonte c’è Newton Gingrich, ex speaker dei Repubblicani al Senato ed esponente rilevantissimo del partito, che ha parlato apertamente di un rischio “Speaker Pelosi” alla House, alludendo proprio alla possibilità che i Democratici riconquistino una delle due Camere.

Secondo Gingrich la maggioranza dovrebbe prima di tutto cercare di capire cosa non abbia funzionato nella campagna elettorale in Pennsylvania. Una volta tanto la colpa non sembrerebbe del candidato, Rick Saccone, che ha giocato un buon match difendendo la posizione fino alla fine. La quasi parità di consenso nei risultati gli darebbe ragione.

Ciò che proprio non va secondo l’analisi di Gingrich sarebbe una sorta di perdita di feeling tra il partito – sia a livello locale sia a livello nazionale – e una fetta importante del proprio elettorato. In Pennsylvania le speranza riposte in un uomo nuovo come Trump avrebbero dovuto produrre risultati migliori. Bisogna allora domandarsi come mai, nonostante l’adozione dei dazi, la riforma sul taglio delle tasse e la promessa di un piano per la ricostruzione delle infrastrutture, vi sia stato questo scivolamento a favore del partito democratico. Pur sottovoce e con toni pacati, c’è chi inizia persino a paventare la fine della luna di miele tra la presidenza di America First e la classe media americana.

Gingrich parla addirittura di responsabilità vere e proprie da imputare al presidente degli Stati Uniti, la cui politica risulta essere fin troppo dirompente e a tratti “alienante”, difficile da capire per l’elettorato che vota tradizionalmente a favore dei repubblicani.

Nessuno lo dice, ma sembrerebbe essersi aperta una prima resa dei conti tra coloro che lodano e coloro che accusano il modo di far politica di Trump. Mentre il rischio di una “Speaker Pelosi” si fa sempre più concreto, man mano che il tempo passa e le elezioni di medio termine si avvicinano, la base del partito inizia a schiarirsi le idee in vista di un appuntamento solo virtualmente lontano, ma assai più importante: le presidenziali 2020.

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