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Nel 2016 il costo dell’accoglienza degli immigrati è stato di 1,7 miliardi di euro mentre nello stesso anno dall’Europa sono arrivati solo 46,8 milioni dall’agenzia Frontex (8,1) e dal Fondo asilo, migrazione e integrazione (38,7 milioni), una cifra pari ad appena il 2,7 per cento. Le cifre sono comprese nella relazione della Corte dei Conti, pubblicata il 16 marzo, sulla gestione del fondo nazionale per le politiche e i servizi dell’asilo dal 2013 al 2016 e dedicata specificamente alla “prima accoglienza”, cioè l’assistenza immediata, escludendo dunque la “seconda accoglienza” che è quella del sistema Sprar (protezione per richiedenti asilo e rifugiati). In dettaglio, il miliardo e 700 milioni del 2016 è suddiviso in 1,29 miliardi per la “prima accoglienza”, 266 milioni per la seconda e 111,5 milioni per l’accoglienza dei minori stranieri non accompagnati.

La relazione della Corte, pur essendo un documento tecnico-contabile, riassume tutti gli aspetti e le criticità del fenomeno immigrazione. Fermandosi al 2016, dà atto al ministero dell’Interno delle novità normative dell’anno scorso per accelerare le pratiche sui richiedenti asilo e sull’istituzione dei Centri permanenti per il rimpatrio, sollecitandolo allo stesso tempo a maggiori controlli sulle modalità di spesa a livello locale e criticando in particolare le prefetture di Avellino e di Reggio Calabria, incapaci di fornire dati attendibili sui costi giornalieri del fenomeno migratorio. Il Viminale dovrà fornire chiarimenti entro sei mesi.

I POCHI RICOLLOCAMENTI AUMENTANO I COSTI

Alle spese indicate all’inizio, l’Italia deve aggiungere altri 762,5 milioni alla data del 15 ottobre 2017, stimati dalla magistratura contabile riguardo alle mancate ricollocazioni in altri Paesi europei. In base agli accordi del 2015, infatti, l’Italia avrebbe diritto a vedere accolti altrove almeno 39.600 richiedenti asilo, ai quali si dovrebbe aggiungere una parte di altri 54.000 richiedenti asilo da suddividere proporzionalmente con la Grecia. Al 15 ottobre scorso erano invece stati ricollocate solo 9.754 persone. La relazione della Corte ovviamente non comprende i dati più recenti: al 12 marzo scorso, secondo i dati del Viminale, i ricollocati erano 12.024. In cinque mesi, dunque, sono usciti dall’Italia solo altri 2.270: senza contare la quota da suddividere con la Grecia, ne mancano ancora circa 27.600.

QUASI 204 EURO PER OGNI PRATICA

Dal 2013 al 2016 è cambiato anche il costo medio pro capite per migrante: cinque anni fa variava dai 4,97 euro per la Sicilia ai 56,16 dell’Emilia Romagna e addirittura nel centro di identificazione ed espulsione di Modena si sono toccati i 167,81 euro. Nel 2015, invece, il costo pro capite in Emilia Romagna è sceso a 33,48 euro. E’ significativo anche il costo calcolato dalla Corte per la gestione di ogni domanda di asilo: 203,95 euro in media, senza contare i costi degli eventuali gradi di giudizio successivi. La cifra è calcolata nell’arco di 9 anni, dal 2008 al 2016, durante i quali sono state esaminate 340.048 pratiche costate 69,3 milioni di euro. Sugli esiti delle pratiche, le percentuali del 2016 rispecchiano la media ormai consolidata: in quell’anno 123.600 persone hanno chiesto asilo, sono state esaminate 91.102 di cui è stato respinto il 56 per cento, cioè quelle presentate dai cosiddetti migranti economici. Inoltre, solo il 13 per cento delle domande accolte (che sono state 36.660) ha visto riconosciuto lo status di rifugiato, mentre il 35 per cento dei soggetti ha ottenuto la protezione sussidiaria e il 52 quella umanitaria. Per completezza di dati, pur non essendo compresi nella relazione della Corte dei Conti, le cifre del 2017 fornite dal ministero dell’Interno indicano in 130.119 le domande di asilo presentate di cui il 58 per cento è stato respinto.

NO AL “DIRITTO DI PERMANENZA INDISTINTO”

A questo punto si aprono due problemi ben noti. Il primo riguarda chi non ha ottenuto protezione che dunque diventa irregolare e, scrive la Corte, resta “sul territorio senza diritti, facilmente inseribile nei circuiti delle attività illecite e malavitose”, visto che il rimpatrio “è complesso e oneroso”. La magistratura contabile sollecita perciò un vaglio più celere anche con “qualificate commissioni ristrette”, per “evitare di riconoscere un ‘diritto di permanenza indistinto’ a tutti coloro che sbarcano e quindi ammettere “un’accoglienza di molti mesi (se non anni) durante i quali i migranti, non avendone titolo, vengono di fatto inseriti anche nei percorsi di formazione professionale finalizzati all’integrazione, con oneri finanziari gravosi a carico del bilancio dello Stato”.

Il secondo problema riguarda chi ha ottenuto la protezione ed è inserito nel circuito dell’accoglienza. La Corte sollecita il ministero dell’Interno a verificare costantemente gli standard di ricezione e “la gestione di possibili resistenze con le comunità locali”, a non affidare servizi senza procedure trasparenti e inoltre contesta l’incapacità del ministero di tracciare la presenza e gli spostamenti dei richiedenti asilo. Basti citare il dato dei minori: dal 2006 al 2014 ne sono scomparsi 17.892. Entro sei mesi il Viminale dovrà riferire alla Corte sugli effetti delle nuove norme introdotte l’anno scorso.

DISORDINE CONTABILE

Considerando che le Regioni hanno potestà legislativa in materia di immigrati, la Corte ritiene necessario che il ministero controlli se i fondi regionali servano a raggiungere un effettivo ulteriore scopo o se siano utilizzati per prestazioni già oggetto del contributo statale, dunque sprecando denaro. Per avere un quadro in dettaglio, la Guardia di Finanza è stata incaricata di effettuare verifiche a campione in quattro prefetture: Treviso, Prato, Avellino e Reggio Calabria. Sono emerse gestioni positive (Treviso) e negative (Avellino e Reggio Calabria). Viene considerato molto positivo il recupero e l’utilizzo dell’ex caserma “Serena” di Treviso tanto che questo tipo di scelta, così come l’uso di beni demaniali o confiscati, “potrebbe essere considerata una scelta prioritaria”. La Corte, addirittura, si spinge a ipotizzare il recupero di borghi abbandonati.

La dura critica alle prefetture di Avellino e Reggio Calabria si riferisce, per esempio, al non saper trarre dati attendibili dalle proprie contabilità speciali con la conseguenza di un “disordine contabile che certamente non salvaguarda i principi della buona amministrazione”. La critica tecnica riguarda la scelta di preferire le contabilità speciali previste da una legge del 1995 che però, scrive la Corte nella relazione, rende possibile per le prefetture “stipulare accordi e sottoscrivere contratti con soggetti terzi anche senza avere contestualmente la disponibilità finanziaria di risorse economiche”. Alla prefettura di Reggio Calabria, inoltre, viene contestato un mancato raccordo con gli enti locali nell’individuazione dei gestori dei centri di accoglienza con la conseguenza che, in alcuni casi, sono stati necessari provvedimenti interdittivi antimafia.

Così la Corte dei Conti bacchetta il Viminale per la gestione dell'immigrazione

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