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Evidentemente il governo – ma forse sarebbe meglio dire i governi – quando non sa come reperire risorse per tamponare la voragine del debito pubblico o per rendere credibili a Bruxelles le promesse sui tagli alle spese, non può che giocarsi la carta delle pensioni. Vista l’incapacità di almeno intaccare l’evasione fiscale, l’inadeguatezza dimostrata nelle varie campagne di spending review e l’evidente impossibilità di ridurre la spesa del personale in senso lato pubblico, non rimangono che i pensionati. Un vero e proprio bancomat per i governi di turno, sia sotto forma di blocchi alla perequazione, che di contributi straordinari o prelievi su immaginarie pensioni d’oro. Non vorremmo che l’improvviso risvegliarsi di paludati quotidiani su un ripetuto allarme per un presunto eccesso di spesa pensionistica, rappresenti un modo per preparare il terreno a qualche nuova ‘sortita’ ai danni dei pensionati. In particolare di quelli che, avendo lavorato di più (e meglio) di altri, percepiscono pensioni dignitose.

Veniamo ai fatti. Il Corriere della Sera ha riportato, lunedì, alcuni dati della Commissione europea relativi alla previdenza italiana: un rapporto statistico evidenziava che in Italia la spesa per le pensioni pubbliche supera i contributi versati di 88 miliardi di euro. Più o meno sulla stessa riga si pone un articolo del Sole 24Ore di mercoledì. Senza minimamente interrogarsi sulla validità (o almeno la provenienza) del dato sulla voragine da 88 miliardi di cui si parla. Cida si occupa da anni di previdenza e da qualche tempo assiste – sempre opponendosi in ogni sede competenze – a prelievi forzosi o blocchi perequativi (mascherati da interventi di equità sociale) alle pensioni dei propri associati. E possiamo dire, suffragati da dati e cifre forniteci, ad esempio, dal centro studi “Itinerari Previdenziali” del professor Alberto Brambilla, che la spesa pensionistica, in realtà, si sta stabilizzando.

Alcuni titoli ad effetto della stampa nazionale, sembrano un modo per destabilizzare, per creare allarmi ingiustificati e far del male al Paese contrapponendo le classi e ii ceti sociali. Se si leggono bene i dati, nel 2016 il disavanzo tra contributi e previdenza è di -21 miliardi, all’interno dei quali sono ben 19 i miliardi spesi in assistenza, di cui 10 miliardi per l’integrazione al salario minimo e 9 miliardi di maggiorazione per dipendenti pubblici. L’errore di fondo, tutto italiano, è di mettere l’assistenza all’interno della previdenza: in questo modo l’Istat comunica a Eurostat (e poi all’Ocse, al Fmi, ecc.) che la nostra spesa per le pensioni è pari al 18,5% del Pil, mentre quella della media dei Paesi Ue a 27 è del 14,7%. Ma gli altri Paesi non mettono insieme previdenza e le diverse funzioni dell’assistenza, che noi neanche specifichiamo nelle comunicazioni all’Ue. Sono i conti dell’assistenza ad essere fuori controllo, non quelli della previdenza. E poi, come detto, c’è da tener conto dell’evasione fiscale e contributiva, visto che il 50% dei pensionati italiani ha meno di 15 anni di contributi.

A questo punto come Cida, insieme alle nostre federazioni, pensiamo ad un appuntamento-verità per il prossimo anno: un grande cantiere dove lavorare per trovare soluzioni complessive a problemi complessi; problemi che richiedono di difendere il potere d’acquisto, evitare la demagogia, promuovere l’avvento di una nuova cultura del welfare e del lavoro, elaborare una visione diversa dei seniores, per costruire il futuro della previdenza pensando ai giovani e non solo ai pensionati.

Vi spiego perché sono ingiustificati gli allarmismi sulle pensioni

Evidentemente il governo - ma forse sarebbe meglio dire i governi - quando non sa come reperire risorse per tamponare la voragine del debito pubblico o per rendere credibili a Bruxelles le promesse sui tagli alle spese, non può che giocarsi la carta delle pensioni. Vista l’incapacità di almeno intaccare l’evasione fiscale, l’inadeguatezza dimostrata nelle varie campagne di spending review…

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