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Le immagini choc sui social, le intrusioni informatiche sulle piattaforme elettroniche dei partiti. Le ultime cronache della campagna elettorale ci consegnano il tema della sicurezza del cyberspazio, una dimensione sempre più rilevante nella quotidianità di tutti e quindi anche nella sfera politica.

Esiste la possibilità di hackerare in qualche modo l’esito del voto? Fiducia e consapevolezza sono i due fattori cruciali per ridurre gli impatti di una minaccia che, al di là di episodiche iperboli mediatiche, non è ancora completamente nota agli italiani.

Fiducia, quindi, nelle istituzioni. La nostra Polizia Postale ha capacità e abilità che sono invidiate a livello internazionale. Dal fotomontaggio (orribile oltre che macabro) della Boldrini all’attacco del sistema Rousseau del Movimento 5 Stelle, la risposta è stata rapida e precisa. La stessa scelta di introdurre nel sito curato dal ministero dell’Interno una pagina per denunciare i casi di fake news rappresenta una positiva novità volta non solo a reprimere questo fenomeno, ma anche a prevenirlo attraverso la “deterrenza”. Su questa decisione diversi attori politici e dei media hanno reagito con sufficienza e ironia, ma si tratta, con larga prevalenza, di argomenti che poggiano sulle esigenze comunicative della campagna elettorale. La novità è invece importante e se non arriveranno denunce si potrà dire un successo.

A chi pone la domanda se invece possono essere sufficienti solo gli angeli della polizia postale a proteggere la nostra infosfera, bisogna rispondere con grande trasparenza che no: non possiamo solo affidarci a questo team di grandissima qualità. Il law enforcement è necessario ma non basta.

La consapevolezza diffusa, la sicurezza partecipata come dicono gli addetti ai lavori, è il tassello decisivo che può far aumentare il livello della nostra protezione nel mondo cibernetico nel quale viviamo. I cittadini dovrebbero infatti conoscere (e riconoscere) le minacce. Dal punto di vista dei processi politici di formazione del consenso, occorre sapere che la minaccia più rilevante risiede non tanto e non solo nelle fake news. Queste sono infatti la punta di un iceberg più profondo fatto di una articolata capacità di influenza dell’opinione pubblica che, a sua volta, si alimenta della disseminazione di messaggi alterati (non necessariamente falsi) sia grazie a una massiccia presenza sui social (troll e botnet) che grazie a forme più tradizionali di pressione mediatica (canali di comunicazione e siti web).

Il rischio di manipolazione è certamente presente ed è oggetto della missione che le nostre leggi hanno affidato all’intelligence. Se dal punto di vista operativo, quindi, questo monitoraggio avviene senza grandi clamori “esterni” (come si conviene alle attività di intelligence), questo non impedisce che ci sia un coinvolgimento attivo degli utenti del web e dei social. Sapere che esistono Paesi stranieri e organizzazioni opache che si muovono nella rete per condizionare la nostra opinione è indispensabile.

In questa azione “preventiva”, ma anche di segnalazione di “anomalie” esiste uno spazio civico fra polizia postale e servizi segreti. Non solo il buon giornalismo, ma anche iniziative come quella nata negli Stati Uniti nell’ambito del think tank Atlantic Council dove è stato fondato un laboratorio di forensica digitale. Questo team di esperti ha già dato prova di una grande capacità di analisi che poi viene messa a disposizione della conoscenza pubblica dei cittadini oltre che delle autorità. Potrebbero essere impegnati anche in Italia per aiutare a monitorare le cyber manovre sulle elezioni. Può essere un esperimento interessante, oltre che utile.

La nostra democrazia sarà ricca di imperfezioni e contraddizioni, ma è il bene civile più grande che abbiamo. Dobbiamo proteggerla. Sempre e senza darla per scontata.

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I cyber attentati alla nostra democrazia. Come proteggerci

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