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C’è qualcosa di illogico e inquietante in questa sperimentazione del “liceo breve”, che riduce la durata della scuola superiore da cinque a quattro anni e che, secondo il ministro dell’Istruzione, Valeria Fedeli, (nella foto), permetterà agli studenti di diplomarsi a 18 anni ed entrare prima all’università o nel mondo del lavoro. Secondo i sostenitori dell’iniziativa, i giovani italiani saranno più simili ai loro “colleghi” europei, dove, in molti Paesi, ma non in tutti, si termina il liceo a 18 anni. Di certo, potrebbe fare risparmiare alle casse dello Stato oltre un miliardo di euro e nessuno mi toglie dalla testa che questa sia una delle motivazioni che hanno spinto all’approvazione del decreto con tanta sollecitudine.

Ma riprendiamo dall’inizio. Accorciare la durata della scuola mi pare illogico. Uno dei ricordi che mi porto dietro dal mio tradizionale liceo classico, ormai vecchia maniera, sicuramente con grosse lacune, come la mancanza dello studio delle lingue straniere, ma dove sullo studio delle materie di indirizzo non si scherzava, erano i lamenti continui dei professori per i programmi oceanici a fronte del tempo limitato. Non voglio immaginare come verranno insegnate e studiate determinate discipline con un anno in meno a disposizione. Vi è poi da aggiungere che alcune materie si ampliano e se ne aggiungono di nuove, basti pensare alla storia (e, viste le derive nazionaliste in Europa, c’è un urgente bisogno di studiarla e bene) e l’informatica. A logica, ma potrei sbagliare, forse converrebbe pensare a una riforma organica dell’istruzione, che parta dalle medie, il vero punto critico della scuola italiana e razionalizzare programmi e indirizzi, piuttosto che tagliare l’ultimo anno delle superiori.

Questa sperimentazione del liceo in quattro anni, somiglia a quei giornalisti che, quando devono tagliare un pezzo, tolgono l’ultima frase, anche se magari è quella che racchiude un concetto importante. Sull’adeguamento all’Europa, ci sarebbe poi molto da dire. In Germania e nei Paesi scandinavi si studia fino a 19 anni e la Gran Bretagna e la Francia, dove si finisce un anno prima, hanno una struttura scolastica completamente diversa. Oltre a esami di fine ciclo riconosciuti internazionalmente.

Ma accorciare il liceo è anche un’iniziativa che reputo sconcertante e inquietante. In un’Italia sempre più in mano all’improvvisazione, dove i concetti di leggerezza e brevità sembrano riscuotere sempre più successo, dove i giornali e i programmi televisivi hanno perso la profondità di contenuti che avevano una volta, e non parliamo di quel povero incompreso del congiuntivo, ormai dimenticato dai più, anziché correre ai ripari si è pensato bene di alleggerire anche l’istruzione. Come se il sapere e il bagaglio culturale di una persona fosse una zavorra di cui disfarsi. Non me ne vogliano i giovani che già sperano di passare meno ore sui banchi, ma la scuola ha, o almeno dovrebbe avere, il dovere di educare, istruire e annoiare, se necessario. Soprattutto in un Paese con un patrimonio storico, linguistico, artistico immenso come l’Italia. Ci sarebbe anche quello scientifico, a volerci lavorare sopra e investire in modo meritocratico sulla ricerca.

In un’epoca di conflitti, di sfide globali, l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno è studiare meno e dimenticarci da dove viene la nostra cultura. Chi vi scrive ha avuto l’immensa fortuna di poter studiare quello che voleva e che amava, in una scuola dove la leggerezza era ammessa, unitamente all’intelligenza e alla capacità di ragionamento, solo nelle ore di greco o, al limite, nell’intervallo. Ci sono stati momenti in cui mi sono annoiata anche io, a volte mi lamentavo, raramente mi sono chiesta che senso avesse incamerare tutta quella mole di nozioni. Probabilmente perché le amavo molto. Sicuramente perché ai miei tempi “liceo” e “famiglia” facevano più rima con “disciplina” rispetto a oggi. Ma anche perché, intorno, vedevo persone con un bagaglio culturale solido in diverse discipline, che ne sapevano più di me e che avevano studiato in altre generazioni, dove la scuola era ancora più rigida e che mi incutevano stima, rispetto e voglia di migliorarmi. Il dramma è che oggi in Italia questi sentimenti si riscontrano sempre più di rado. Oltre alla serietà, ma in questo siamo sempre stati abbastanza indisciplinati.

Per favore, non devastate quel che resta della scuola italiana.

Valeria Fedeli

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