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Per cogliere le opportunità ed evitare i rischi della difesa europea, serve uno sforzo condiviso dalla politica, dalle Forze armate, e dall’industria. È quanto emerso dall’evento “Cooperazione Nato-Ue, quale futuro?”, che la delegazione italiana all’Assemblea parlamentare della Nato, presieduta da Andrea Manciulli, e l’Istituto Affari Internazionali (Iai) hanno organizzato questa mattina a Roma.

LE PAROLE DEL MINISTRO PINOTTI

“Bisogna allineare valori e interessi”. Solo così, ha detto il ministro della Difesa Roberta Pinotti, sarà possibile superare le difficoltà che incombono sulla difesa comune e tutelare gli interessi italiani. “Se i valori vanno da una parte e gli interessi dall’altra, non riusciremo a proseguire su questo percorso”, ha aggiunto. Per quanto riguarda i valori, “l’Italia è sempre stata protagonista della sfida della difesa europea; eppure, oggi, dobbiamo mettere in fila gli interessi” perché il rischio è che altri Paesi possano essere più efficaci nel promuovere i propri. “A volte – ha ricordato la Pinotti – le prese di posizione degli alleati (ad esempio sul Fondo europeo della difesa o sul nuovo caccia franco-tedesco, annunciato in pompa magna da Merkel e Macron a luglio, ndr) nascondono una lettura dei propri interessi e noi non dobbiamo essere da meno. Occorre procedere con il percorso della difesa comune, che è ineludibile, ma anche guardare all’interesse nazionale”.

L’IPOTESI DI UN ASSE FRANCO-TEDESCO

A destare particolare preoccupazione è proprio l’ipotesi che siano Francia e Germania, particolarmente attive in questa fase di lancio del progetto europeo, a fare la parte del leone. Come notato dall’ad di Fincantieri Giuseppe Bono, “l’uscita della Gran Bretagna pone un problema a tutti: c’è un solo Paese nell’Unione europea che siede come membro permanente nel Consiglio di sicurezza dell’Onu, con potere di veto, e che ha il nucleare”. Francesi e tedeschi, in aggiunta, “hanno messo sul tavolo un menu che copre tutto lo specchio di forze ed equipaggiamenti, candidando programmi per poter accedere a fondi europei”, ha evidenziato invece il direttore Strategie di Leonardo Giovanni Soccodato. “Non possiamo non partecipare o quanto meno non andare a vedere cosa succede e come procedono questi programmi”, ha aggiunto il manager.

LE PREOCCUPAZIONI DELL’AIAD

A insospettire, ha aggiunto il presidente dell’Aiad Guido Crosetto, è “il fatto che francesi e tedeschi continuino a sostenere in più contesti che per i progetti europei bastano due Paesi”. Anche per questo, occorre forse guardare alla difesa comune “con l’occhio della preoccupazione delle piccole e medie imprese”, ha aggiunto. Se l’obiettivo è razionalizzare gli sforzi, e dunque ridurre i sistemi d’arma, “scelta ottima dalla prospettiva dell’Europa”, ciò potrebbe avere effetti “drammatici” su molte aziende italiane. Passare da 17 carri armanti a uno solo (questo il numero più volte indicato per dimostrare tra l’altro la frammentazione europea rispetto al contesto statunitense) comporta inevitabilmente una riduzione delle aziende produttrici che potrebbe coinvolgere molte industrie italiane. Sui velivoli, ha aggiunto Crosetto, “ci potremmo trovare in difficoltà, in un’Europa della difesa che razionalizza, nei confronti del gigante Airbus, che realizza aerei ed elicotteri”.

IL DIBATTITO SULL’EDIDP

La pressione francese si fa sentire anche sulla proposta di regolamento per il Programma di sviluppo industriale (Edidp), per cui è previsto un budget di 500 milioni di euro per il 2019-2020. La disputa riguarda i criteri per definire i soggetti che potranno beneficiare delle risorse europee, e Parigi preme per escludere le aziende che, pur mantenendo le attività nel territorio di uno Stato membro per tutta la durata dell’azione da finanziare, non hanno controllo europeo. Ciò tuttavia metterebbe fuori gioco industrie d’oltreoceano che hanno attività in Europa e che, integrate nelle catene di fornitura, da sempre fanno importanti investimenti in alcuni Paesi membri, tra cui l’Italia (basti pensare ad Avio Aero, business della statunitense GE Aviation). Tale misura “sarà probabilmente corretta”, ha detto il presidente della Commissione Difesa della Camera Francesco Saverio Garofani, “ma ha rischiato di produrre divergenza e divaricazione”.

COME RISPONDERE

Se la difesa comune è “un processo ineludibile”, come ha detto il ministro Pinotti, il ragionamento va dunque spostato sulle modalità con cui far valere gli interessi italiani. Per Crosetto, la priorità è “creare un sistema-Paese pronto a questo processo, una burocrazia che sia coordinata su un progetto nazionale”. Avanti tutta sulla difesa comune dunque, ma “facciamolo tutelando una nicchia industriale che è una delle ultime ad alto contenuto tecnologico”, ha rimarcato il presidente dell’Aiad ricordando i 12mila ingegneri che lavorano in Leonardo e che non potrebbero essere assorbiti da nessun altro settore. “Va trovata una strategia totale a 360 gradi – ha aggiunto – che coinvolga tutti in un percorso nazionale per difendere l’industria”. L’alternativa, ha detto Crosetto, è ritrovarsi “dei pesi leggeri in un ring europeo popolato da pesi massimi”. Per acquisire competitività, gli ha fatto eco Soccodato, “dobbiamo rafforzarci di più in casa nostra, con un dialogo e uno scambio continuo con le Forze armate al fine di crescere su programmi che sono utili per l’Italia e con cui possiamo presentarci da protagonisti in Europa”.

Dal punto di vista procedurale e legislativo, ha spiegato Garofani, i primi passi da intraprendere in questa direzione sono l’introduzione della programmazione sessennale (prevista dal Libro Bianco) e la definizione del ruolo dell’esecutivo negli accordi g2g, “più che un’assistenza tecnica, una vera e propria assunzione di un ruolo maggiore per le priorità strategiche del nostro Paese nel mondo”, ha detto il presidente della Commissione Difesa della Camera.

GLI INVESTIMENTI PER IL SETTORE

Anche secondo il segretario generale della difesa e direttore nazionale armamenti Carlo Magrassi, la soluzione è “fare sistema” in Italia per poter essere competitivi in Europa. “Abbiamo grandi competenze in campo terrestre, aero, navale e nel cyber spazio ma è tutto un po’ separato ad eccezione del mondo della difesa che tiene insieme ma che ha quasi completamente saturato la propria capacità di spesa”. Eppure, nuova linfa alle capacità potrebbe arrivare da “tutta una realtà al di fuori della difesa, che coinvolge ad esempio i corpi di Polizia, l’ambiente e la Protezione civile”. Con il coinvolgimento di attori come Cassa depositi e prestiti, o come gli istituti di credito, ha proposto il generale Magrassi, “si potrebbe adottare il modello di atteggiamento della Commissione europea, per cui un investimento muove ulteriori investimenti con un rapporto di 1 a 10”. In altre parole, ha rimarcato, “non si può pensare che dal governo e dalle tasse venga la totalità degli investimenti per il settore”.

Ecco perché l'Italia deve fare sistema sulla Difesa europea

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