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Ospite, diciamo così, della concorrenza costituita dal Corriere della Sera, Carlo De Benedetti (nella foto) ha liquidato, pur non licenziandolo, Eugenio Scalfari per le sue aperture recenti e ripetute a Silvio Berlusconi. Che avrebbero peraltro molto “nuociuto” alla sua Repubblica di carta proprio all’inizio di una costosa campagna di rilancio, di cui la famiglia dell’ingegnere sta naturalmente pagando le spese come maggiore azionista del gruppo editoriale cui appartengono adesso anche La Stampa e Il Secolo XIX.

Di Scalfari, in particolare, De Benedetti ha lamentato la pur incolpevole età avanzata, più della sua, la “vanità”, il desiderio di “riconquistare la scena”, la morale dal “modo assai cangiante” che ha “predicato” per tutta la vita ed altro ancora. Solo così il capo della famiglia ormai editrice di Repubblica si è spiegato il cambiamento di umore e di giudizio di Scalfari su un Berlusconi “imprudente e grottesco”, condannato per corruzione e frode fiscale e riducibile, nella migliore delle ipotesi, ad un “abito in disuso”. Nelle cui tasche si può trovare un biglietto del tram già obliterato che non si capisce bene, dalle parole dell’ingegnere, se dimenticato dall’uomo di Arcore o lasciato lì apposta per essere fraudolentemente riadoperato.

Di Berlusconi, contemporaneamente trattato nell’abituale appuntamento domenicale con i lettori, quasi sapesse dell’intervista di De Benedetti in uscita sul Corriere della Sera, Scalfari ha scritto con apparente rassegnazione che “è un appestato, politicamente e giudiziariamente parlando”. “In realtà – ha aggiunto grillinamente – appestati sono tutti, ma lui lo è al massimo grado. Senonché, la destra da lui in gran parte rappresentata raccoglie la maggioranza dei voti”, per cui la “governabilità” del Paese impone di tenerne conto, e persino di accordarvisi in funzione antipopulista, purché Berlusconi dopo le elezioni rompa col populista che ha in casa, cioè Matteo Salvini, per stipulare col Pd di Matteo Renzi un altro, più stringente e trasparente patto del Nazareno.

Proprio su Renzi si è consumata un’altra rottura fra De Benedetti e Scalfari: il primo essendone tanto “deluso” da preferire la scheda bianca, piuttosto che tornare a votarne il partito la prossima volta, escludendo di potere contribuire alla “ridicola avventura” elettorale e politica di Massimo D’Alema, il secondo convinto invece che il Pd sia ancora votabile, nonostante gli errori certamente commessi dal suo segretario, ma sempre inferiori a quelli degli altri che pascolano a sinistra.

C’è tuttavia una contraddizione alla quale non è riuscito a sottrarsi De Benedetti parlando di Renzi: quando ne ha riconosciuto un certo “populismo intelligente”, che spesso lo porta a imitare o addirittura a inseguire Grillo, lamentando però che esso sia “privo di pensiero e di progetto”.

Beh, questa storia del populismo “intelligente” e al tempo spesso “privo di pensiero” non torna, francamente. Qualcosa o qualcuno privo di pensiero non può essere al tempo stesso intelligente. Siamo all’ossimoro, o giù di lì.

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