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C’è una doppia sfida all’orizzonte degli aeroporti italiani. Da una parte riuscire ad aumentare sensibilmente il traffico aereo e dunque passeggeri. Dall’altra mantenere intatto l’attuale assetto, senza cioè rischiare di perdere pezzi, magari con la chiusura di qualche scalo. Cinquant’anni fa nasceva Assaeroporti, l’associazione confindustriale dei gestori nazionali, che in settimana ha scelto di festeggiare il mezzo secolo presentando a Roma, al Palazzo della Cancelleria, il report curato dal Censis (qui il documento) sullo stato di salute degli hub italiani, piccoli o grandi che siano. Presenti, oltre al presidente ed ex numero due di Unicredit e oggi consigliere del gruppo bancario, Fabrizio Palenzona, il commissario Alitalia Stefano Paleari e il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, Graziano Delrio. E non sono mancati i riferimenti (tutti critici) verso il ruolo di Alitalia

TUTTI (O QUASI) CONTRO ALITALIA

Non potevano mancare riferimenti alla grande malata di questi anni, Alitalia. Prima Palenzona (già ai vertici di Adr, la società degli aeroporti di Roma), poi il presidente dell’Enac Vito Riggio e infine Marco Baldi del Censis, hanno rifilato all’ex compagnia di bandiera una bordata dopo l’altra. Come a dire, colpa di Alitalia e della sua eterna crisi se gli aeroporti italiani hanno più volte perso il treno per la crescita. “Dalla fine degli anni Novanta per dieci anni c’è stato un blocco del sistema degli aeroporti italiani e c’è stato su un altare sbagliato. Si è pensato che per difendere gli interessi della compagnia di bandiera, e tutti noi saremmo felici di avere una forte compagnia di bandiera, si dovesse fare una legge, la 248/2005, che ha bloccato gli investimenti, che ha impedito lo sviluppo tariffario e che ha fatto accumulare al nostro Paese un ritardo incredibile rispetto a tutto il resto del mondo e all’Europa in particolare”, ha attaccato Palenzona. Stessa musica per l’esperto del Censis e curatore del report, Baldi: “Il sistema era bloccato sulle necessità della compagnia di bandiera”. Il colpo di grazie è arrivato da Riggio. “Pur di salvare Alitalia, che era ancora un pezzo restante del sistema Paese ingovernabile, nel quale non si procedeva a privatizzazioni e non si aveva un socio industriale, si è rischiato di affossare l’intero sistema aeroportuale italiano”.

COME SE LA PASSANO GLI AEROPORTI ITALIANI

Lo scorso anno  il traffico negli scali italiani ha superato i 164 milioni di passeggeri con un aumento del 21,8% negli ultimi 10 anni. E anche nel primo quadrimestre del 2017 c’è stata una crescita del 6,6%, mentre nell’ultimo anno l’aumento del traffico ha toccato quota +4,6%. Non è finita. Nei prossimi 20 anni, secondo i dati di Assaeroporti, il traffico aereo raddoppierà negli scali italiani fino a 311 milioni di passeggeri nel 2035. “L’aviazione civile italiana è un settore di sviluppo, in crescita, che ha delle prospettive”, ha sottolineato Palenzona. Ponendo tuttavia delle condizioni affinché tale sviluppo sia garantito. “Avendo una certezza regolatoria normativa e lavorando con un’istituzione come Enac, che ha fatto uno sforzo come noi, si possono programmare investimenti a lungo termine. Non si può programmare sul tweet, ma sul futuro, bisogna capire i cambiamenti”.

SE PICCOLO (NON) E’ BELLO

Ma anche il sistema aeroportuale italiano, che nei calcoli del Censis vale il 3,6% del Pil, ha il suo tallone di Achille. Che risponde al nome di piccoli aeroporti. Il rapporto parla chiaro d’altronde: negli ultimi cinque anni gli scali minori hanno perso il il 14,7% del traffico, mentre quelli intermedi (dai 2 agli 8 milioni di passeggeri all’anno) hanno guadagnato il 16%. Quelli più grandi invece, come Fiumicino o Malpensa, hanno incrementato il proprio traffico del 10%. Come se non bastasse i piccoli scali, che il Movimento Cinque Stelle vorrebbe chiudere (qui il programma Trasporti) sono solitamente gestiti da società pubbliche. “Si  tratta di scali gestiti in prevalenza da società pubbliche, spesso con difficoltà di bilancio e dalla difficile privatizzazione”, si legge nel rapporto. Enti barcollanti e poco redditizi? Dice Palenzona: “I piccoli aeroporti sono fondamentali, perché hanno una loro tipicità e utilità di servizio pubblico. Questo è un tema che il paese non può sottovalutare”. Va bene, ma se questi scali perdono traffico, soldi e nessuno privato li vuole, che si fa?

4,2 MILIARDI DI INVESTIMENTI

Fotografato il sistema aeroportuale italiano, su quale risorse si potrà contare nei prossimi anni? In questo contesto, i nuovi contratti di programma stipulati dai vari gestori prevedono investimenti di circa 4,2 miliardi di euro in cinque anni. Di questi il 93% proviene da risorse proprie delle società di gestione, cioè dagli azionisti, mentre il 7% è finanziato con risorse pubbliche. Il grosso delle risorse (47,9%), andrà al Centro, anche sulla spinta del maxi-investimento di Adr (il gestore di Fiumicino e Ciampino partecipato dalla famiglia Benetton) sull’hub romano, mentre un altro 37% andrà al Nord. Al Sud e le Isole invece, solo il 15% delle risorse. Parte dei soldi, e non è un dettaglio, dovrà essere impiegato per migliorare la connettività degli scali, come peraltro sottolineato dal sottosegretario alla Cultura, Dorina Bianchi. Dove c’è un aeroporto ci deve essere una ferrovia e un’autostrada, in grado di garantire la massiccia circolazione di passeggeri.

IL BUSINESS DEL CARGO

Se c’è un asso da giocarsi poi, quello è il cargo. Il trasporto merci oggi vale il 2% del trasporto aereo, ma in termini di valore delle merci trasportati, la quota sale al 35%. C’è un dato che vale la pena sottolineare. Il 90% degli acquisti su internet, l’e-commerce, viaggia sua aerei cargo. tanto basta a fare della competitività in questo settore una delle sfide future degli scali italiani. “La competitività del trasporto delle merci è un’altra cosa fondamentale e da noi ci sono le condizioni, gli investimenti, le prospettive e l’intelligenza per intercettare un settore che vale il 2% delle merci movimentate, ma nel complesso il 35% del valore totale”, ha evidenziato Palenzona.

IL NODO DELLE FERROVIE

Chi ha insistito sul raccordo ferrovia-aeroporto è stato il ministro Delrio, che lodando il piano aeroporti approvato nel 2015, ha tuttavia evidenziato delle lacune tutt’oggi non risolte. “Gli aeroporti in grande crescita devono avere dei collegamenti ferroviari efficienti. E’ difficile pensare che sia l’Alta velocità a far sviluppare i sistemi aeroportuali, anzi è una sciocchezza pensare questo. Attenzione a non creare miti su cui discutiamo per mesi, quando sappiamo che l’alta velocità come intendiamo noi non c’è. Il tema è che ci siano collegamenti” Proprio ieri Delrio, in visita in Sicilia, ha assicurato la fine entro l’anno dei lavori per il collegamento ferroviario per l’aeroporto di Palermo. La ferrovia che collegherà l’aeoroporto sarà comunque pubblica, visto che lo stesso Delrio ha escluso ogni ipotesi di privatizzazione della rete.

Ecco come piccoli e grandi aeroporti borbottano contro Alitalia

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