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Qualcosa sta succedendo tra le pieghe delle finanze cinesi. Qualcosa di grosso, che potrebbe far tornare alla mente il disastro della Silicon Valley Bank, un anno e mezzo fa. La storia è abbastanza nota. La banca californiana, legata a doppio filo all’industria tecnologica, non resse all’aumento dei tassi da parte della Federal Reserve, che comportò una svalutazione dei portafogli con conseguenti perdite di bilancio. Nel Dragone potrebbe succedere un po’ lo stesso. I rendimenti dei titoli pubblici cinesi sono ai minimi da 22 anni, su per giù al 2,1%.

Il che vuol dire essenzialmente due cose: primo, è vero che lo Stato risparmia in termini di interessi, perché il costo del debito è minore ma è altrettanto vero che bassi rendimenti rendono poco appetibili i medesimi titoli, che in tal modo non vengono sottoscritti, aprendo la strada a una svalutazione. E questo per le banche è un problema, visto che i bilanci sono pieni zeppi di bon statali. Il partito, infatti, esige che il sistema finanziario, incluse le assicurazioni, sostenga il debito nazionale, comprando i titoli.

Ora, secondo un’analisi della Cnn, il problema c’è. “Anche i rendimenti dei titoli a 20 e 30 anni si aggirano intorno ai minimi storici. Costi di prestito più bassi dovrebbero essere benvenuti in un’economia che lotta per riprendersi da un crollo immobiliare senza precedenti e alle prese con una spesa dei consumatori lenta e con una debole fiducia delle aziende. Ma il brusco movimento al ribasso delle obbligazioni potrebbe innescare una spirale, al punto da far temere una crisi simile al crollo della Silicon Valley Bank, negli Usa”.

A Pechino se ne sono accorti, comunque. “La People’s Bank of China”, scrive la Cnn, “ha emesso oltre 10 avvisi da aprile sul rischio che una bolla obbligazionaria possa scoppiare, destabilizzando i mercati finanziari e facendo deragliare la ripresa dell’economia cinese. La Svb negli Stati Uniti ha insegnato che la banca centrale deve osservare e valutare la situazione del mercato finanziario da una prospettiva macroprudenziale, sempre”.

Pochi giorni fa Pan Gongsheng in un forum finanziario a Shanghai, ha lanciato il suo personalissimo allarme rosso. “Al momento, dobbiamo prestare molta attenzione al disallineamento delle scadenze e ai rischi dei tassi di interesse associati alle grandi partecipazioni in obbligazioni a medio e lungo termine da parte di alcune entità non bancarie e bancarie”. Tali entità, al netto degli istituti, includono compagnie assicurative, fondi di investimento e altre società finanziarie.

Tutto questo mentre le grandi banche occidentali suonano la ritirata dalla Cina. Un esempio? Nel 2023 le sette divisioni delle principali banche occidentali (Goldman Sachs, Morgan Stanley, Credit Suisse, Deutsche Bank, Hsbc, Jp Morgan, Ubs), per effetti di un ridimensionamento dei ricavi, hanno tagliato i posti di lavoro su base annuale del 13%, portando il totale degli impiegati a 1.781. La colpa è del rallentamento dell’attività dei mercati dei capitali cinesi per effetto di una prolungata debolezza del settore immobiliare e dalle conseguenze delle crescenti tensioni geopolitiche tra Washington e Pechino. Appunto.

Il debito torna a spaventare Pechino. Che vede lo spettro di Svb

​I rendimenti dei titoli cinesi sono ai minimi da oltre vent’anni. Il che rischia di comprimere la domanda di debito e aprire le porte a una svalutazione dei portafogli delle banche. Un film già visto negli Stati Uniti, lo scorso anno

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