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Disclaimer: è prassi che la scoperta di nuove prove possa portarsi dietro il riesame delle stesse, soprattutto nell’ambito di un’inchiesta che “non era ancora realmente chiusa” come ha spiegato un funzionario dell’Fbi a Newsweek; quella annunciata a settembre, dunque, era soltanto la fine della revisione delle prove finora disponibili, dalle quali non emergevano reati. In questo quadro quello che venerdì è successo a proposito di altre email che la candidata democratica Hillary Clinton avrebbe fatto passare su server privati mentre era segretario di Stato, è molto meno straordinario di quello di cui si parla sui media. Certo, è straordinario il momento, a poco più di una settimana dal voto presidenziale che vede Clinton frontrunner per uno dei due principali partiti politici americani e abbondantemente favorita dai sondaggi. Scrive Kurt Eichenwald (giornalista che per esempio si è occupato in un articolo/saggio uscito sempre su Newsweek di come i business della Trump Fondation e le visioni del magnate che la rappresenta possano influenzare, negativamente, le politiche americane e la sicurezza nazionale se il repubblicano dovesse vincere la corsa per la Casa Bianca) che “la verità è molto meno esplosiva” e non c’è nessuna volontà del Bureau di influenzare le elezioni. Carl Bernstein, giornalista da manuali che curò il caso Watergate, ha detto alla CNN che è impensabile che i Federali abbiano deciso di scrutinare nuove email se non si fosse trattato di “qualcosa che richiede seria indagine”, ma non sarà uno scandalo grosso come quello che portò alle dimissioni Richard Nixon.

LA REAZIONE DEMOCRATICA

Tuttavia è stato pesante il day-after all’annuncio con cui il capo dell’Fbi James Comey ha comunicato che la sua agenzia esaminerà altre email di Clinton . “È piuttosto strano mettere fuori qualcosa di simile con così poche right informazioni prima delle elezioni”, ha detto Clinton durante una manifestazione a Daytona Beach, in Florida. Il “right” è un argomento centrale, ci si tornerà. “In realtà, non è solo strano; è senza precedenti ed è profondamente preoccupante” è l’attacco più duro di Hillary. È inusuale, ma un’informativa lecita, la comunicazione con cui il direttore del Bureau ha fatto sapere al Congresso che procederà ancora per verificare se c’è qualcosa di illegale tra le nuove email che sono saltate fuori con ogni probabilità dal computer portatile che la principale assistente di Clinton, Huma Abedin, ha condiviso con l’ex marito, il politico democratico Anthony Wiener accusato in un’inchiesta separata di aver inviato messaggi di sexting con una minorenne (l’ultimo di tanti scandali che lo hanno coinvolto: “O my God, ancora questo Weiner” ha commentato il vice presidente Joe Biden alla Cnn). Anche perché mancano per il momento prove concrete, giuste, “right” appunto, per avviare una procedura. Clinton preferiva leggere le comunicazioni su carta piuttosto che su uno schermo digitale, così Abedin spesso le ha stampate ricevendole anche su un account aperto dal computer che aveva in comune col marito, questo quello che emerge. Ora l’Fbi dovrà prima stabilire se si trattava di materiale sensibile, e poi semmai incolpare Abedin o Clinton dimostrando però che questa procedura, magari non troppo sicura, aveva come fine rivelare quelle informazioni – cosa improbabile.  “Innuendo”, insinuazioni, le ha definite John Podesta, il capo della campagna Clinton 2016, finito a sua volta in mezzo una vicenda che riguarda alcune sue email personali, hackerate e diffuse pubblicamente – un’indiscutibile azione contro Hillary, differentemente da quella che Comey avvierà, che, si ripete, è una procedura federale per verificare se l’attuale candidata ai tempi in cui guidava il Dipartimento di Stato ha esposto materiale top secret a terze persone o al rischio di infiltrazioni cibernetiche.

LA MACCHINA DEM SI ARROCCA

Il New York Times scrive in un articolo che titola “Hillary Clinton assale James Comey”, che quella che sabato ha messo nel mirino Comey – repubblicano ma nominato al suo ruolo dall’Amministrazione democratica di Barack Obama – è la dimostrazione di come la macchina politica intorno a Clinton funzioni alla perfezione. Un contrattacco che calca le debolezze della posizione assunta dal direttore, ritenuta da molti discutibile per via della mancanza (per ora, chissà in futuro) di questioni fattuali. Il Los Angeles Times ha parlato di “un’abbondanza di precauzione” che ha portato gli agenti a “sentirsi” di dover controllare le altre email. Il Nyt ha raccontato anche di alcuni messaggi che i poli centrali della campagna hanno mandato alle strutture subordinate invitando i volontari del partito a rispondere all’annuncio di Comey sottolineando sulla straordinarietà della decisione, presa a soltanto undici – ora nove – giorni dalle elezioni e senza citare prove concrete. Mentre il Comey, in una mail di spiegazioni scritta ai suoi sottoposti, ha spiegato che ha sentito la necessità di informare il Congresso sebbene l’agenzia non conoscesse ancora “il significato delle email scoperte”: “Non voglio creare un’impressione fuorviante”, c’è “un significativo rischio di essere frainteso” ha scritto. “Una distrazione enorme nel momento peggiore possibile”, ha detto invece Donna Brazile, la presidente del Comitato Nazionale Democratico (che ricopre da pochi mesi il ruolo, dopo che la storica presidente Debbie Wesserman era stata costretta a dimettersi per via di alcune email imbarazzanti saltate fuori dopo un attacco hacker simile a quello che ha colpito Podesta). Alcuni senatori hanno scritto una lettera all’attorney general, Loretta Lynch chiedendole che faccia pressioni perché l’Fbi chiuda presto l’indagine e riveli ciò che ha scoperto – una posizione assunta come reazione iniziale anche  Clinton.

FRONTE REP

È ovvio comunque che la situazione sia un colpo duro per i democratici, e proprio per questo la risposta è stata forte. Donald Trump, lo sfidante repubblicano, ha usato subito la vicenda per sottolineare come fosse vero il suo noto slogan, “Crooked Hillary“, e quanto serva un’azione penale contro Hillary, che è inaffidabile, è “bugiarda”, ha fatto richiami alla possibilità che le elezioni siano truccate, e ha definito Hillary “corrotta su una scala che non abbiamo mai visto prima” (nota di colore, una frase di Trump a Golden resterà tra le varie per cui ricorderemo questa campagna presidenziale: “I don’t love the concept of ballots“, non amo il concetto di elezioni). Ma non c’è solo il voto sul presidente a preoccupare i Democratici, visto che l’8 novembre si voterà per il Congresso e per alcuni governatori. Anzi è probabile che l’inchiesta dell’Fbi finisca per favorire più i vari candidati repubblicani che Trump, dato che è proprio la mancanza di fiducia il problema di Hillary con l’elettorato che si rispecchia sul partito (poi gli indecisi: su tutto pesa il fatto che né Trump né Clinton piacciono particolarmente agli americani, che si troveranno a scegliere, se voteranno, tra il meno peggio).

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