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Presi dai soliti bisticci di casa, o di cortile, ci sfuggono spesso le notizie che pure incidono di più sui nostri interessi. E’ il caso della divergenza di valutazioni sugli umori tedeschi, e sulle conseguenze che potrebbero derivarne sulla prossima legge di stabilità italiana, fra il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e l’omologo americano Jacob Lew, segretario di Stato al Tesoro.

Dopo avere attribuito alle scadenze elettorali della cancelliera Angela Merkel i malumori di Berlino per l’ulteriore flessibilità chiesta dai paesi del fronte meridionale dell’Unione Europea nella gestione dei conti, a cominciare dall’Italia e dalla Francia, il ministro Padoan ha annunciato il rinvio della riduzione delle tasse al 2018. Un rinvio che dovrebbe avere un po’ sorpreso persino il presidente del Consiglio Matteo Renzi, appena spesosi in questi giorni per sottolineare la necessità e l’urgenza di usare finalmente la leva fiscale, abbassandola, per favorire la ripresa economica.

Il 2018, salvo complicazioni, sarà l’anno delle elezioni politiche. Ancora in tempo – avrà forse pensato Padoan – per aspettarsi dalla decisione effetti positivi sulle reazioni degli elettori. Troppo a ridosso della scadenza elettorale – potrebbe pensare Renzi, e non a torto – per non esporsi al sospetto di una mossa strumentale, destinata più a suscitare speranze, o illusioni, che risultati pratici.

Già Renzi, d’altronde, è accusato di fare troppe promesse, un giorno sì e l’altro pure, dagli avversari esterni e interni al partito. I quali ultimi, peraltro, sono notoriamente tentati più dall’aumento che dalla riduzione delle tasse, nella vecchia visione masochistica e pauperistica della sinistra, che con la scusa di voler favorire i poveri vede ricchi dappertutto da spennare. E tratta da criminale chi parla di “evasione di sopravvivenza”, alla maniera di Luigi Einaudi, per spiegare la difesa alla quale sono spesso costretti i contribuenti vessati dal fisco.

Diversamente da Padoan, che ha evidentemente poche speranze di ottenere la flessibilità che serve all’Italia, il segretario di Stato al Tesoro americano ha ricavato dai suoi contatti, che immagino non limitati agli uscieri del Dipartimento che dirige, l’impressione che la Germania, nonostante le sparate del ministro delle Finanze, forse di stampo elettorale, come le ha avvertire Padoan, sia disposta ad essere “più morbida” verso i Paesi europei in difficoltà. Che in un aggravamento della loro crisi potrebbero trascinarsi appresso anche i tedeschi, la cui situazione sarebbe in fondo meno solida delle apparenze, o delle loro convinzioni.

Le impressioni di Jacob Lew sono state affidate alla Stampa, con la quale l’esponente del governo americano si è vantato addirittura di avere “convinto” i tedeschi ad una linea di apertura.

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Nei partiti italiani naturalmente si preferisce parlare d’altro per scannarsi a destra su Stefano Parisi, come si è appena doluto sul Corriere della Sera il direttore Luciano Fontana con un intervento di sostegno al tentativo del mancato sindaco di Milano di ristrutturare la sua area politica dissestata, e a sinistra sulle sorti della riforma costituzionale scambiata dagli avversari di Renzi per una specie di colpo di Stato. Non parliamo poi dei grillini, inguaiatisi da soli, con le loro beghe capitoline, e costretti a inventarsi complotti pure loro per giustificare l’incapacità che stanno rivelando di governare la città che più hanno desiderato e più clamorosamente conquistato nelle urne: più ancora della già sorprendente Torino.

Ora la sindaca Virginia Raggi se la prende con i giornalisti che, facendo il loro mestiere, l’attendono sotto casa, come facevano a suo tempo con Ignazio Marino, e come fanno con chiunque sia alla ribalta. “Mi fate pena”, ha detto la signora, non pensando evidentemente alla pena che lei può a sua volta procurare, o ha già procurato. Basta unirsi per qualche minuto agli webeti a 5 stelle – copyright naturalmente di Enrico Mentana –  per rendersi conto della confusione esistente da quelle parti.

Quella dei grillini, tuttavia, non è la confusione massima, bisogna ammetterlo con onestà. Ce n’è una ancora maggiore e, attraversando destra e sinistra, riguarda la riforma della legge elettorale della Camera nota come Italicum.

E’ bastato che Renzi, rinunciando all’originaria convinzione di avere prodotto qualcosa di invidiabile e di invidiato in tutto il mondo, si dichiarasse davvero disponibile a discuterne, non foss’altro per cercare di ridurre l’opposizione referendaria alla riforma costituzionale di chi ha detto e dice no per il cosiddetto combinato disposto con l’Italicum, perché la situazione si ingarbugliasse, fuori e dentro il suo partito.

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Poiché nella confusione è cresciuta la tentazione, un po’ dappertutto, di far togliere le castagne dal fuoco alla Corte Costituzionale, di cui è già stata fissata un’udienza per il 4 ottobre sui ricorsi presentati contro la legge elettorale per la Camera approvata l’anno scorso, dai giudici del Palazzo della Consulta sono cominciati ad arrivare segnali di assai comprensibile insofferenza.

Nel timore di potersi prestare a giochi politici che dovrebbero essere estranei alla Corte Costituzionale, anche se ogni tanto – a dire il vero – estranei non sono stati, ai giudici è venuta la tentazione di mettersi alla finestra. Cioè, di rinviare ogni decisione per vedere se i politici vorranno o potranno sciogliere i nodi dell’ennesima riforma elettorale da soli, senza coprirsi dietro questo o quel taglio apportato dalla Corte alla legge in vigore da luglio. O addirittura dietro un giudizio di legittimità, che riarmerebbe i contrari ad ogni modifica.

Come si muove Matteo Renzi fra Merkel, Padoan e Corte Costituzionale

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