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Quest’anno la sezione di musica contemporanea del festival di Salisburgo è stata dedicata a due autori: il britannico Thomas Adès e l’ungherese, ma di cultura musicale, Peter Peter Eötvös. A ciascuno stati dedicati tre eventi: ad Adès la prima mondiale dell’opera The Extermibating Angel (coprodotta con New York, Londra e Copenhagen) e due concerti (rispettivamente uno di musica sinfonica ed uno di musica da camera); ad Eötvös, la prima mondiale di un oratorio e due concerti; a Salisburgo nella prima settimana del festival (480 spettacoli in sei settimane al costo di 60,5 milioni di euro di cui solo il 25% finanziato dallo Stato, dalla Regione e dal Comune). E proprio a Salisburgo ho avuto modo di assistere alle due prime mondiali ed ad un concerto di Eötvös.

Veniamo all’attesissima prima mondiale di The Exterminating Angel (L’Angelo Sterminatore) terza opera di Thomas Adès (classe 1971).
Il compositore ha anche Adès ha anche concertato l’Orchestra Sinfonica della Radio di Vienna, in buca. La regia è di Tom Cairns, autore anche del libretto: scene, costumi , luci, video e coreografia sono firmati rispettivamente da Hildegard Bechtel, Jon Clark, Tal Jarden e Amir Hosseinpout. Dopo venti minuti di vere e proprie ovazioni al termine dello spettacolo,  che probabilmente, al pari delle due opere precedenti di Adès, nei prossimi anni si vedrà nei maggiori teatri europei, americani ed asiatici.

Tratta dal noto film di Luis Buňuel del 1962, l’opera è una parabola, mista di realismo, surrealismo e religiosità , della ‘condizione borghese’ intrappolata in se stessa ed incapace di comprendere il mondo. Sotto il profilo musicale, è un’opera tonale, fortemente polifonica (in scena ci sono 15 personaggi), con arie, duetti e concertati, ma anche con molto declamato. Richiede una grande orchestra con strumenti non convenzionali come ‘les ondes martelot’, un suono delicato e profondo di un ‘angelo sterminatore al tempo stesso seducente e distruttore). Lenta e quasi ossessiva nella prima parte, l’opera assume un ritmo incalzante nei due intermezzi e nella seconda parte per concludersi con un finale liberatorio (pur se sappiamo che sarà di breve durata). Richiede 15 grandi voci, che al Festival non sono mancate.

Marcatamente differente Halleluja di Eötvös con, in buca, i Wiener Philharmoniker diretti da Daniel Harding, il coro della radio ungherese, una voce recitante (Peter Simonischek), un tenore con registro molto alto (Topi Lehtipuu) ed un soprano (Iris Vermillion). L’oratorio, il cui libretto è di Péter Esterházi, si basa sulla vicenda di un musicista monaco di St. Gallen del novecento dopo Cristo, Notker Balbulus, successivamente canonizzato a causa della balbuzie aveva difficoltà a comunicare. Nell’oratorio un narratore racconta come un angelo (soprano) ponesse domande al profeta (tenore) che non riusciva a rispondere tempestivamente. Nel contempo, il coro intona Halleluja con citazioni di Monteverdi, Händel, Mozart, Mussorgsky e Bruckner.

Ancora una parabola della difficoltà di comunicazione del nostro tempo balbuziente e della necessità di affidarsi all’Alto per capirsi (il grandioso Halleluja finale). Un’orchestra di grandi dimensioni con tre piani sulla sinistra del palcoscenico, mentre il coro era su più piani alla destra. Una forte scrittura timbrica con molto spazio alle percussioni, all’organi ed ai violoncelli.
Interamente dedicato a Eötvös il terzo concerto diretto dal compositore nella Chiesa dell’Università. L’orchestra era un Klangenforum di Vienna, un complesso specializzato in musica contemporanea, elettronica ed elettroacustico, che curiosamente andava a pennello all’elegante barocco bavarese. Dirigeva il compositore. I tre brani precedono l’attività operistica di Eötvös, molto intensa negli ultimi anni e di grande successo in Francia, Germania e Stati Uniti. Sono, però fortemente teatrali. Il primo, per flauto, clarinetto e orchestra, risale al 1995-96. Si intitola Shadows: interagendo con l’orchestra, i due strumentisti danno vita ad un vero e proprio teatro di ombre. Il secondo, Sonata per 6, è del 2005, centoventicinquesimo anniversario della nascita di Bartók, il maestro viene commemorato da un concerto in cui un pianoforte digitale dialoga con un pianoforte tradizionale mentre un impianto elettronico raddoppia i suoni ed interagisce con il resto dell’orchestra. Infine, Chinese Opera, di circa mezz’ora, risale al 1985-86 quando Eötvös si stava avvicinando al teatro musicale e ricorda quattro registi (Peter Brook, Luc Bondy, Klaus Micheal Grüber e Patrice Chéreau che lo incoraggiavano in tale direzione). Una serata affascinante.

(Foto: © Salzburger Festspiele / Marco Borrelli)

Tutte le novità musicali del Festival di Salisburgo

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