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Fino a qualche ora fa, in tutti i commissariati europei troneggiava il profilo del suo mandato di cattura: «Nato il 15 settembre 1989 a Bruxelles, 1,75 metri, occhi marroni». Dopo quattro mesi di blitz falliti, ipotesi, speculazioni, bufale e fughe rocambolesche l’uomo più ricercato d’Europa, Salah Abdeslam, è finito nelle mani della polizia belga. E nel posto che nessuno avrebbe mai immaginato: il suo quartiere d’origine, Molenbeek, a un passo dalla casa dei suoi genitori. Lì dove aveva sempre vissuto prima di pianificare uno degli attentati più gravi e sanguinari della storia recente europea.

“LA CATTURA DEL SECOLO”

La “mente” degli attacchi di Parigi, l’unico sopravvissuto del commando che ha seminato la morte nella notte del 13 novembre scorso, è stato arrestato a Molenbeek, comune della cintura di Bruxelles. Con lui, sono finiti in manette anche un complice e altre tre persone che lo avevano nascosto. Cinque arresti in tutto per una maxi operazione che ha portato alla «cattura del secolo», come l’ha definita il presidente francese François Hollande.

LA REAZIONE DELL’OPINIONE PUBBLICA

Da Le Soir a Le Monde, passando per Le Point e Libèration. I giornali francesi e belgi, in queste ore, applaudono l’esito dell’operazione antiterrorismo – che la solleva dalle feroci critiche degli scorsi mesi – soprattutto perché i terroristi sono stati catturati “vivant” (vivi). «Ci sarà un processo! Non lo credevo possibile», spiega a Le Figaro Emmanuel Domenach presente al Bataclan e ora vice presidente dell’associazione “13 novembre: fratellanza e verità”. «Voglio che ci spieghino la dinamica degli attacchi. Lo devono alle vittime», ha aggiunto.

C’è chi, invece, come Claude Moniquet, direttore dell’ESISC (Centro europeo per l’intelligence e la sicurezza) è più cauto nel promuovere l’azione della polizia belga. «Lunedì notte – spiega a L’Express – la pista Salah Abdeslam era fredda. L’indagine ha avuto una brusca accelerazione martedì. Se il sospetto è stato catturato è stato anche grazie a un colpo di fortuna».

IL RUOLO (POCO CHIARO) DI SALAH NEGLI ATTENTATI DI PARIGI

Fin dall’inizio delle indagini il personaggio di Salah Abdeslam aveva molto incuriosito gli investigatori. Lui, che viveva con il fratello maggiore Brahim – che si farà esplodere al “Comptoir Voltaire” la sera del 13 novembre – e che assieme a lui aveva rilevato il bar “Les Beguines” di Molenbeek, non sembrava rispondere ai canoni tipici della radicalizzazione islamica. Chi lo conosceva lo ha descritto come «seduttore, non praticante, dinamico». Voci lo davano assiduo frequentatore di locali notturni e gay della capitale belga.

Il ruolo giocato da Salah Abdeslam negli attentati di Parigi resta, infatti, ancora poco chiaro. Kamikaze programmato per morire? Semplice addetto alla logistica dell’attacco? Chauffeur dei terroristi? Il suo vagabondaggio per le strade di Parigi subito dopo gli attacchi, il ritorno improvviso a Bruxelles e la sua lunga latitanza hanno contribuito a confondere i pezzi del puzzle. Così come i motivi che lo spinsero a non immolarsi nella capitale francese. Salah, infatti, doveva essere l’ottavo attentatore suicida negli attacchi di Parigi ma era fuggito senza azionare la cintura esplosiva, ritrovata in un cassonetto del 18mo arrondissement.

DA MOLENBEEK A PARIGI, DA PARIGI A MOLENBEEK

Gli agenti dell’antiterrorismo francesi e belgi erano sulle tracce di Salah dalla notte del 13 novembre. Ma la  segnalazione era arrivata troppo tardi perché fosse arrestato durante un controllo stradale effettuato nei pressi della frontiera francese. L’ultima segnalazione, subito dopo le stragi di Parigi, risaliva al primo pomeriggio del 14 novembre, quando era stato visto nel comune di Schaerbeek, dove aveva trovato appoggio insieme ad altri complici. Poi più nulla fino al 10 dicembre, quando le sue impronte erano state trovate in un appartamento perquisito, sempre a Bruxelles.

In un primo momento esperti e commentatori avevano pensato che l’attentatore fosse fuggito in Siria, ipotesi poi esclusa dai servizi segreti. Altri ritenevano improbabile che Salah fosse andato a rifugiarsi proprio nei feudi del Califfato, se davvero temeva l’Isis più della polizia. Tra le tante ipotesi si era parlato anche di una Bmw in fuga verso la Germania. Tutte teorie successivamente smontate.

L’accelerazione nella caccia è avvenuta solo martedì scorso, con la perquisizione di un alloggio nel comune belga di Forest. Poi si è giunti l’epilogo di ieri pomeriggio. A tradirlo una telefonata, dopo la fuga dai tetti di Forest, a una persona che da mesi era stata messa sotto sorveglianza. E, forse, anche una soffiata ieri mattina alla polizia da parte di un “amico”.  Il cerchio si chiude, esattamente dove si era aperto.

E resta il sospetto che la “Primula rossa” Salah non si sia mai mossa da Bruxelles, durante tutti questi quattro mesi.

Salah Abdeslam, tutti i dettagli (e i misteri) dell'arresto

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